Lunedì, 05 Agosto 2013 13:20

L'epopea di Lisikui: 13 mesi in carcere e poi viene assolto

Scritto da Sergio Pelaia
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mini IMG-20130715-WA0002La Asec Mimosas è una squadra che milita nella serie B della Costa D'Avorio. È la squadra in cui giocava Lisikui Shakina, classe '89, prima di essere costretto a scappare. La sua è una famiglia benestante, Lisikui gioca a calcio e parla fluentemente quattro lingue, ma la sua vita cambia quando, nel 2002, nel suo Paese scoppia una cruenta guerra civile che, negli anni, si lascerà dietro una scia di migliaia di morti. Suo padre viene ucciso nel 2004, lui poco dopo viene catturato dai ribelli che lo tengono prigioniero in un campo di addestramento. È lì che incontra un suo vecchio amico, che nel frattempo ha fatto carriera militare, e grazie a lui riesce a scappare dal campo, chiuso nel cofano di un'automobile. 

Ora però deve lasciare anche la Costa D'Avorio, e in fretta. È il 2007: sua madre è libica, dunque decide di cercare fortuna nel Paese allora governato dal colonnello Gheddafi. Si mette in viaggio, da solo, neanche ventenne. Attraversa il Niger e arriva a Druku, città di frontiera da cui entra finalmente in Libia. Ci rimane fino al 2011, lavora per tre anni in un ristorante e non si trova poi così male. Ma anche nella patria di Gheddafi scoppia la guerra, così Lisikui scappa di nuovo, si imbarca insieme ad altre duecento persone. Direzione: Italia. La giovane promessa del calcio ivoriano sbarca a Lampedusa l'11 giugno 2011. Lo stesso giorno viene affidato alla Protezione civile, che lo invia in un centro che accoglie i migranti, il “Borgo Santa Maria” a Lamezia. Chiede di essere ascoltato dalla commissione territoriale per i richiedenti asilo, ma prima che arrivi la risposta viene arrestato. Proprio così, per la prima volta nella sua vita. A mettergli le manette sono gli agenti della Mobile di Catanzaro che, in esecuzione di un'ordinanza emessa dal tribunale di Agrigento – competente per territorio – lo portano in carcere perché accusato di essere uno degli scafisti. Lui e altre due persone sarebbero «la cellula italiana – riportava la cronaca del Giornale di Brescia – di un gruppo criminale che operava in Libia». È il 24 maggio 2012, un anno dopo lo sbarco, e alcuni dei migranti avrebbero riconosciuto Lisikui dalle foto identificandolo come scafista. Risultato: 13 terribili mesi di carcere, tra Lamezia e Agrigento, per poi essere assolto, l'11 luglio di quest'anno, per non aver commesso il fatto. Due giorni dopo la sentenza, Lisikui ha l'opportunità di raccontare la sua storia alla presidente della Camera. Laura Boldrini ascolta con attenzione, poi scambia con lui alcune battute in inglese, e alla fine gli chiede scusa a nome dell'Italia. Gli dice che, purtroppo, queste cose succedono spesso, e chiede al sindaco Speranza di dargli una mano per trovare una sistemazione. Lisikui oggi, se non fosse per il suo avvocato Tonino Barberio, non avrebbe neanche un tetto sotto cui dormire. Eppure a 24 anni, dopo essere scappato dalla sua nazione e aver attraversato un continente insanguinato, dopo essere stato detenuto ingiustamente per oltre 13 mesi, dopo un anno in cui non è riuscito a comunicare con la madre, Lisikui ancora sorride. Vuole tornare a giocare a calcio. Sorride e sogna. 

 
 
(articolo pubblicato sul numero 109 del 'Corriere della Calabria')

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