Lunedì, 01 Aprile 2013 09:38

Gambino, Pasolini e lo stretto legame con la Calabria

Scritto da Sergio Gambino
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mini gambino_e_pasoliniE’ una storia come tante questa. Una storia d’acqua e di contadini. La storia di intellettuali di sinistra che stavano tra la gente. La storia di un ruscello, che separa due frazioni sperdute delle pre-serre vibonesi. Il grande archivio librario, di documentazione e di memorie, lasciato da Sharo Gambino, mi “costringe”a delle riflessioni, anzitutto sul destino di questo grande patrimonio che appartiene alla Calabria prima ancora di essere proprietà della mia famiglia. Quelle che erano le riflessioni e le attività giornaliere di quegli intellettuali socialisti e comunisti che allora lavoravano e studiavano attivamente sul territorio, rendendosi parte integrante, uomini del PCI, anche se spesso ne stavano fuori. Repaci, Zitara, Mancini, Don Massimo Alvaro, Berto, Pasolini. 
Proprio di quest’ultimo personaggio, del regista e poeta romano morto tragicamente su una spiaggetta di Ostia vorrei scrivere, alla luce di un breve scambio di lettere tra Gambino e Pasolini, avvenuto dopo l’incontro tra i due durante una visita del territorio vibonese (ne scrive il giornalista Bruno Vellone) ospite di Andrea Frezza,  noto regista vibonese, del quale ricordiamo il suo esordio dietro la macchina da presa avvenuto nel 1969 con il film “Il gatto selvaggio, storia di un giovane nichilista (C. Cecchi)”,ed in compagnia di Aldo Rosselli, figlio di Nello Rosselli, ucciso con il fratello Carlo in Francia dai fascisti. Pasolini, era andato nelle campagne tra Cutro e Le Castella, dove poi si gireranno alcune scene de “Il Vangelo secondo Matteo”. Il gruppo di amici arriva in Gerocarne. L’anno dopo il 22 e 23 febbraio le popolazioni di Ciano e dei Piani di Ariola nel Comune di Gerocarne, peraltro non nuove a contestazioni nei confronti dell’Amministrazione Comunale, assediano il Municipio. Le condizioni di vita in queste zone sono pessime. Paolo Sebregondi, sul numero quattro del “Fronte Unito” del primo marzo riporta: «…il popolo vive senza luce, senza acqua, e senza strade; la mancanza di servizi più elementari,il dilagare della tubercolosi, specie tra i bambini di Ciano. La farmacia non funzionante, l’ostetrica che non si trova nei momenti di necessità, il problema della gestione dei soldi dell’ECA, delle case popolari.».
Le popolazioni dei Piani dell’Ariola  come riporta Sharo Gambino nel n. 4 , giugno-luglio-agosto del 1968, in un articolo “I MARCUSIANI DELL’ARIOLA”: «dal 1957 l’esattore non ci mette più piede, qui all’Ariola di Gerocarne e non “visita” più le altre frazioni, Ariolella, Ingegnieri, Timponello, Sant’Antonio, Paparello, Petricella, San Ruggiero, San Fili. Forse unici in tutta Italia, questi uomini non versano nelle casse dello Stato il loro contributo e così né Mastrella, né Ippolito, né tutti gli altri ladri che all’ombra dello Stato si son fatti gonfio il portafogli, possono vantarsi di averli “fregati”. Il 19 e il 20  maggio di quest’anno, ancora questa gente ha mostrato coi fatti una compattezza davvero invidiabile e tutti hanno contribuito alle spese postali perché fosse inviato al Ministro dei Lavori Pubblici all’uomo nuovo della Calabria, a Giacomo Mancini, un pacchetto contenente tutti i certificati elettorali. Qua l’unica somma che è arrivata ( per le strade ndr) sono state le cinquantamila lire che ci mandò quello scrittore, Pasolini, dopo che venne e vide in che modo viviamo e con quei soldi abbiamo costruito un ponticello tra Arena e Gerocarne per superare un fossato». Una storia d’acqua dicevamo, di un fiume che divide, che ostacola, che emargina. Una popolazione vessata, che oggi, per drammi sempre peggiori (quello del mostro Alaco), pensa di restituire le schede elettorali o vede in un comico una possibile via di salvezza. Oggi come allora dimenticati da quei partiti di sinistra che dovrebbero tutelare le classi popolari e invece tutelano il capitale. Mancini, sordo alle richieste degli “Ariolesi”, ma attento alla penna di Gambino, chiedendogli ripetutamente di lasciare le Serre e di andare a lavorare a Roma. Proposta puntualmente rifiutata dal giovane cronista calabrese, il quale preferisce “rimanere in trincea”.
Un diverso atteggiamento e modo di porsi  verso quelle popolazioni che oggi come allora vivono l’entroterra calabrese in uno stato di “banditismo”, avrebbe detto il poeta romano. Scrive a Gambino (dimenticando l’h):"Saro, il nostro incontro è stato breve ma colmo di pensieri, sarò ancora in Calabria, terra  che amo e dalle mille contraddizioni, di uomini e banditi, per girare delle scene di un mio nuovo lavoro. Ho avuto modo di visitare la zona di Cutro e Crotone, terre che mi ispirano e mi ricordano la Palestina. […] e son certo che la tua collaborazione con Paese Sera darà sicuramente linfa alla tua attività di giornalista “[…]  Usa spesso questa espressione l’intellettuale romano quando parla dei calabresi:”banditi”. Nel suo articolo “La lunga strada di sabbia”, un reportage su un viaggio compiuto da Pasolini a bordo di una Fiat 1100 lungo la costa calabrese  e pubblicato nel settembre del 1957 sul mensile “Successo” scrive: "A un distendersi di dune gialle, in una specie d'altopiano, è il luogo che più mi impressiona di tutto il viaggio. E' veramente il paese dei banditi, come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano al loro atroce lavoro, c'è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia…”. Due mesi dopo il comune di Cutro lo querela per “diffamazione a mezzo stampa”. Pasolini, risponde in tal proposito all’ufficiale sanitario di Cosenza, Pasquale Nicolini, il quale gli chiede del perché di tale giudizio: “I banditi mi sono molto simpatici. Quindi da parte mia non c'era la minima intenzione di offendere i calabresi e Cutro. Comunque, non so tirare pietosi veli sulla realtà: e anche se i banditi li avessi odiati non avrei potuto fare a meno di dire che Cutro è una zona pericolosa, ancora in parte fuori legge: tanto è vero che i calabresi stessi, della zona, consigliano di non passare per quelle famose 'dune giallastre durante la notte. Quanto alla miseria, non vedo perché ci sia da vergognarsene. Non è colpa vostra se siete poveri ma dei governi che si sono succeduti da secoli, fino a questo compreso. E quanto ai ladri, infine: non mi riferivo particolarmente alla Calabria, ma a tutto il sud. Sono stato derubato tre volte: a Catania, Taranto e Brindisi».   «Questi – scrisse, tra l’altro Pasolini – sono dati della vostra realtà: se poi volete fare come gli struzzi, affar vostro. Ma io ve ne sconsiglio. Mi dispiace dell’equivoco: non si tiene mai abbastanza conto del vostro 'complesso di inferiorità», della vostra psicologia patologica, della vostra angesi o mania di persecuzione. Tutto ciò è storicamente e socialmente giustificato. E io non vi consiglierei di cercare consolazioni in un passato idealizzato e definitivamente remoto: l'unico modo per consolarsi è lottare, e per lottare bisogna guardare in faccia la realtà. Lei è persona degna di ogni rispetto e anche affetto e, come tale, cordialmente la saluto».  Una terra abbandonata la Calabria senza prospettive e con un graduale abbandono dell’entroterra e della produzione agricola, cosa che ha mandato a picco quel minimo di economia locale che poteva e doveva essere trasformata e migliorata per dare quantomeno sovranità alimentare. Contadini e famiglie abbandonati che esausti scrivono all’uomo nuovo di Calabria, Giacomo Mancini e che non ricevono alcuna risposta, alcun aiuto se non da “volontari”. Gambino che denunciava in Cassari la mancanza del cimitero e organizzava il finto funerale per poter avere la foto che spiegasse in quali condizioni erano costretti a dare l’ultimo addio ai propri defunti. Pasolini che paga di tasca sua la costruzione di un ponte. Abbandono delle aree interne che continua a perpetrarsi in una logica di mercato assurda e inconcepibile. Il cattivo progresso, proposto alle genti dalla morale capitalistica. Popolazioni liberate dalla “zavorra” della tradizione, del mestiere di famiglia, della terra dei padri. Una impostazione di vita diversa, che ti costringe a lavorare per produrre ricchezza e non per trarne benefici in qualità della vita con la propria famiglia o per la comunità alla quale si appartiene. Produrre una ricchezza della quale prima o poi finirai per goderne anche tu. Falso. Non appena le regole della globalizzazione e del capitalismo conquistano la “terra” la povertà si trasforma in miseria. Prima di queste nuove regole, la povertà della campagna non era miseria, era un modo di vivere in comunità basato sui principi della semplicità, della solidarietà, della condivisione. Regole che si trasformano nel momento in cui la conversione della terra alla logica della produttività, la dignitosa povertà delle nostre campagne si è trasformata in miseria diffusa, che non si limitava a colpire i braccianti, ma anche i piccoli proprietari. Un graduale e  costante abbandono della realtà dell’entroterra da parte di politici e sindacati, di intellettuale e delle forze di sinistra che dovrebbero tutelare gli interessi del popolo. Ancora oggi nelle Serre in particolare, ma in tutto l’entroterra calabrese una situazione di graduale abbandono e degrado di questi luoghi dove è stato distrutto il tessuto economico, fatto di microproduzioni, dove sono stati completamente smantellati i servizi specialmente quelli sanitari, paesi avvelenati da acque sporche. Si avrebbe bisogno di una classe politica che governi il territorio dal basso, di gente che conosca le “cose” e le persone e non di politici calati dall’alto e portati in giro con l’elicottero. L’esempio del “ponte” di Ciano pagato da Pasolini che si immedesima in quella gente, che aiuta e “offende”, ma che non lascia al proprio destino, anche con un diverso modo di porsi, vero e popolare. Ma probabilmente il destino  della Calabria e dei calabresi  segnato cosi, quello di essere sedotti e abbandonati.
 
(pubblicato su Il Corriere della Calabria n. 91)
 
 

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