Giovedì, 24 Gennaio 2013 14:26

Era una calda mattina d'estate...

Scritto da Sergio Gambino
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mini PAPA_1977__-putiha-_02Era una calda mattina d’estate, del 1950, quando, da lontano, una nuvola di polvere si avvicinava sempre di più sulla strada che portava da San Rocco allu “Schicciu”. Con la sua “ventotto”, Bruno, pedalava velocemente  alla ricerca dei suoi amici. “Franco, scinda!” gridò arrivato in via Sette Dolori, ”pigghjia la bicicletta e camina! Accumpagnami a Cardinali, c’haiu mu m’aggiustu pi’ na fatiga”.  “E Oreste di la Rinisa, lu dassamu alla casa?” chiese Franco. "’Nd’aspetta alla Chiesa Matri”. E partirono i tre compagni alla volta di Cardinale. Bruno, fratello maggiore di ‘Ntunuzzu, era il figlio maggiore di Beniamino “Lu Vizzuocu” gran Mastro Ebanista, della scuola del Professore Tripodi.

Nei ricordi dei suoi eredi d’arte viventi in Serra si racconta che avesse una capacità di assemblare e modellare il legno veramente fuori dal comune, e che questa sua grande arte l’avesse trasferita ai due figli, tanto che Bruno, Mastro Bruno, aveva guadagnato il merito in Serra di essere il Mastro di fiducia della Certosa. Era lui, infatti, a tenere la costante manutenzione delle torri in legno (oramai vetuste) che Bruno con pazienza certosina (è proprio il caso di dirlo) teneva con caparbietà all’impiedi come dei giganti zoppi. Ed era facile incontrare Bruno con la sua bici, o a piedi, mentre andava in Certosa, vuoi per ragioni professionali, vuoi per semplice devozione al suo Santo. Come questa mattina d’estate in cui, attraversando nella discesa tortuosa la strada sterrata che taglia il bosco di noccioli in fiore verso Torre di Ruggiero, i tre amici si scambiavano parole e risate. Quelle mani che erano in grado di intagliare il legno magistralmente, stringevano quei freni a bacchetta, a volte accarezzandoli a volte stringendoli con forza come quando si sferra il martello sullo scalpello. La bottega di Mastro Nicola Timpano era nel centro storico di Cardinale, e lui, altro maestro falegname, era sull’uscio a rigirare del legno messo in essicazione. Visti i giovani riconobbe Bruno, lo guardò con sguardo deciso e gli fece cenno di entrare nella bottega. “Vado solo, che sono cose importanti” disse ai suoi compagni di viaggio, ed entrò. Franco e Oreste aspettarono il loro amico lì fuori, la porta chiusa, nessun segno di vita per quasi un’ora, che quasi quasi si preoccuparono pure. Poi ad un certo punto, la porta si spalanca e Bruno ne esce raggiante gridando “Mi Zitijiai!”. Quindi Mastro Nicola, che aveva suggellato l’accordo con il suo parere, e la madre, ed infine la sua bella, raggiante anche lei. Poi, bevuto qualche bicchierino di liquore e mangiato qualche dolce di nocciole come li sanno fare nel paese che porta il nome del conte normanno, ripartirono, questa volta facendo affidamento più che ai freni, ai polpacci, che la salita era ripida, ma Bruno pedalava come Gimondi, racconta mio Zio Franco Gambino, tant’era l’entusiasmo di quest’amore appena iniziato. Poi il promesso sposo si fermò a bere alla fontana di Monte Cucco - che intanto Franco era pure caduto veramente… - e bevvero acqua fresca e pane e formaggio che per festeggiare aveva messo nella tasca della sua bici. Poi Bruno si sposa e compra casa alli “Cheli”. Abitava, in quella Piazza per la toponomastica conosciuta come Piazza Arc.Pisani, Don Vicinzinu Raghiele, e le sue sorelle “Li Signurini”, famose in paese perché produttrici delle particole utilizzate nella consacrazione in Chiesa. Facevano le ostie, e i bimbi, prima ancora che avvenisse la loro benedizione, bussavano per poter mangiare i “ritagli” di pasta in eccedenza. Nasce Beniamino, che chi scrive (e tanti altri ragazzi di Serra) ancora identificano in Akela, il nostro capo Branco nell’esperienza magica vissuta negli scout. Bruno intanto continua la sua carriera professionale, collaborando persino alla costruzione di una straordinaria opera d’arte: il portale di quella bomboniera barocca che è la Chiesa Addolorata. Su quel portone è immortalata la sua arte, figlia e madre dell’arte serrese. Uno di quei mastri, uno di quei serresi, da seguire come esempio e artistico e umano, un uomo la cui storia non va dimenticata, e non può vivere nel solo ricordo affettivo dei familiari, ma va condivisa e ricordata. Una storia di cui continueremo a dare memoria e testimonianza. Un amore conquistato su una bici tra le risate di amici festosi, che non lo hanno dimenticato e che hanno permesso, anzitutto a chi scrive, di conoscere questa storia d’amore. Purtroppo, un giorno, un maledetto giorno, il destino di Bruno si compiva su quella sella di bicicletta in un tragico incidente stradale. Uscito dalla sua bottega per andare alla “Machinedha” non tornava più ai suoi cari e ai suoi attrezzi, ma sia gli uni che gli altri sono ancora testimonianza di una storia d’amore serrese che merita di essere raccontata.

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