Lunedì, 22 Aprile 2013 13:40

Due digiuni e una capanna. La protesta ridicola di Rosi e De Raffele

Scritto da Salvatore Albanese
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mini municipio_protesta_pdlSERRA SAN BRUNO - C’è un filo di rabbia negli occhi e nel cuore di ogni serrese che passa avvilito ai piedi di quel Municipio sempre più cupo e sempre più nero, di fronte al quale - come un’accozzaglia di turisti per caso - il Sindaco e company, fingono di stare accampati, in attesa di cosa, non è dato sapersi. Il Pdl locale protesta. Forse contro il Prefetto di Vibo Valentia, evidentemente colpevole di aver girato al Viminale la relazione della Commissione d’Accesso insediatasi al Comune di Serra San Bruno dopo l’arresto dell’ex Assessore Zaffino (attualmente in libertà). Allora il Sindaco s’indigna. Raduna la maggioranza, i giornalisti e qualche fedele sostenitore e in una conferenza stampa shock, al crepuscolo di una calda giornata d’aprile, si dice pronto all’automutilazione

: “Se ci sciolgono per mafia mi taglio un dito!”. Non contento, al limite del ridicolo, occupa il piazzale antistante al Municipio, fa issare una tenda, dove giura pernotterà giorno e notte in perfetto e totale digiuno forzato. Qualche ora dopo, noncurante dei fermi richiami del Prefetto, al primo cittadino si aggiungerà il Presidente del Consiglio comunale Giuseppe De Raffele: “Entro anch’io in tenda in sciopero della fame!”. Termini, condizioni ed obiettivi, ancora, rimangono del tutto sconosciuti. Che cosa si vuole ottenere?

Ma la cosa più grave è che, con un atto di sgradito vittimismo, gli stessi amministratori prossimi allo scioglimento, tentano invano di tirare per la giacchetta l’intera comunità. Si armano di lenzuolo e spago e legano alla facciata della Casa Municipale uno striscione: “Serra San Bruno NON è MAFIOSA”. E dove sta la novità? Che Serra non sia una comunità di mafiosi lo sanno tutti. Lo sa anche chi ha relazionato sulle infiltrazioni al Comune. Perché in quella relazione, probabilmente, si dice e si attesta non che i cittadini serresi siano un manipolo di ‘ndranghetisti, ma che piuttosto chi li ha governati dal 2011, lo ha fatto forte dell’appoggio di voti forse inquinati. Raccolti anche e soprattutto da soggetti attenzionati dalla magistratura, che per un motivo o per l’altro non potevano essere candidati. E si dice forse anche di più. A questo punto il commissariamento appare un atto dovuto, altrimenti si creerebbe un precedente secondo il quale chiunque stilerebbe e presenterebbe liste con candidati in posizione “ambigua” da epurare poi comodamente in seguito alla vittoria.

Così Bruno Rosi si fa sentire. Lo fa adoperando uno strumento che pure in passato fu poco avvezzo ad usare. Lo fa con la protesta. Una protesta di partito, tra l’altro, portata avanti facendo invece leva sulla carica istituzionale ricoperta, usando il Comune come strumento per tentare di salvare la poltrona. Ma perché il Sindaco serrese non protestò di recente affianco agli altri primi cittadini calabresi per tutelare la posizione dei lavoratori Lsu ed Lpu del suo comune? Perché non protestò il 2 dicembre 2011 di fronte alla sede della Regione Calabria o il 24 marzo 2012 affianco ai cittadini che occupavano il Municipio contro il ridimensionamento dell’ospedale “San Bruno”? Oggi Bruno Rosi protesta e lo fa esclamando di non essere mafioso, anche se si ritrovò nel recente passato ad utilizzare un comportamento chiaramente omertoso di fronte all’ondata di criminalità che travolge ogni giorno Serra San Bruno: perché non espresse solidarietà ai familiari di Massimo Lampasi al momento della sparizione del ragazzo? Perché continua a non voler intestare una via a Pasquale Andreacchi (altro giovane serrese scomparso e trucidato 3 anni fa) come richiesto in una petizione da circa 600 cittadini? Perché non convocò un Consiglio Comunale aperto per discutere delle centinaia di furti registratisi nel centro storico del paese negli ultimi 3 anni? Perché non fece lo stesso per arginare l’ondata di incendi ad automobili private che si verificano con cadenza quasi settimanale a Serra? Perché non espresse solidarietà al Consigliere di minoranza Mirko Tassone a cui fu, anche in questo caso, incendiata l’autovettura di fronte al portone di casa? Perché non espresse solidarietà all’Associazione Culturale Il Brigante che si ritrovò, alle 10 e mezza della sera del 9 aprile scorso, un’angosciante testa mozzata di pecora sull’uscio della sede?

 Non c’è quindi sorpresa che si sia arrivati a questo punto per colpa di chi negli ultimi due anni se n’è infischiato delle regole, del buon senso e delle proporzioni.

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