Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Valorizzare la Calabria, quella culturale, quella sana, genuina e nobile, dovrebbe essere l’obiettivo principe di chi vive e combatte in questa terra, affinché possa
essere riconosciuta per ciò che di buono ha messo al mondo. Esistono vari modi per sensibilizzare in questo senso e, il modo adottato da Pino Colosimo è quello più “folle” e maniacale che un uomo possa immaginare. La sua maniera di diffondere la cultura calabrese, soprattutto quella grossa fetta che risiede nell’opera di Corrado Alvaro, nasce da una passione sfrenata, quasi una “malattia”, quale potrebbe essere quella da cui è affetto un collezionista. Il nostro “internato” da biblioteca, praticamente durante tutto il percorso della sua vita, è andato dietro l’opera di Alvaro alla stregua di un errante Orfeo in cerca della sua Euridice, con un’unica differenza: nel momento in cui l’ha trovata non se l’è fatta sfuggire per nulla al mondo.
Per comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando, Pino Colosimo l’abbiamo intervistato, speranzosi di capire come sia stato colpito dalla “sindrome di Alvaro”.
Nel 1947 il nonno di Pino (assieme a tutta la famiglia) emigrò da Soveria Mannelli per andarsene in Piemonte. Ed è proprio nella regione storicamente forse più “avversa” al profondo Sud, che Pino ha sentito il bisogno di scoprire le proprie radici.
Come nasce la sua passione per i libri?
"L’effetto scatenante è stato mio nonno Peppe, che abitava su una collina di Torino che si affaccia sul Po. Mi diceva di aver scelto quell’angolo di mondo perché gli ricordava molto Soveria Mannelli. Non accettò mai l’idea di andare a lavorare in fabbrica e perciò continuò a zappare. Lo chiamavano il poeta contadino, perché portava in tasca un quadernetto dove annotava le ore di lavoro o ci trascriveva le sue poesie che componeva mentre lavorava. Io e mio nonno eravamo in piena sintonia e fu lui a regalarmi il mio primo libro. Ricordo che fu “Il lupo della steppa” di Hesse, collana Medusa, Mondadori. Quando andavo a trovarlo, nelle giornate grigie di autunno, ci sedevamo accanto alla sua stufa a putagé. Tra una caldarrosta ed un sorso di vino, leggevo ad alta voce ciò che lui mi proponeva. Poi mi raccontava della sua Calabria che aveva deciso di lasciare per non farvi più ritorno. Nella sua rabbia avvertivo l’amore che invece provava per la sua terra. Ci ritornò dopo 40 anni e lì ora riposa".
Come è diventato collezionista delle opere di Alvaro?
"Il mio incontro con gli scritti alvariani è avvenuto in un modo piuttosto singolare che mi vergogno di confessare. Rubai un suo libro in via Po, durante una manifestazione studentesca. Entrai in una libreria, presi a caso un libro da un espositore e urlai: ”Questo è un esproprio proletario!”. Sul tram che mi riportava a casa, iniziai a sfogliarlo e appresi che esisteva Corrado Alvaro. Il libro era “Gente in Aspromonte” della collana “I bianchi”, edito da Garzanti. In quei racconti trovai mio nonno Peppe, le sue storie, i suoi paesani, le sue vicissitudini. Anche mio nonno come Antonello Argirò si ribellò. Però fuggì e, sputato sul marciapiede della stazione, tracciò una croce con la punta della scarpa dove, urlando, proferì queste parole: "Qua non ci torno più!". Da quel libro che avevo rubato si scatenò la mia ossessione. Sentivo il bisogno impellente di tenere tra le mani tutti i libri di Corrado Alvaro. Pazienza, passione e, forse, competenza, mi hanno permesso di mettere insieme circa 2500 volumi, di cui un terzo sono calabresi. Di alcuni autori, come Alvaro, Strati, La Cava, Repaci, Seminara, colleziono tutte le edizioni che si sono succedute con lo stesso titolo. Con Corrado Alvaro è interessante farlo perché varia sempre qualcosa da un’edizione all’altra. Alvaro era ossessionato dalla forma, dalla sintassi, dalla logicità delle sue composizioni. Fu la disperazione dell’editore Valentino Bompiani. Ho recuperato con pazienza e fortuna opere preziose di Corrado Alvaro, ad esempio “Gente in Aspromonte” quando comparve come racconto nel 1930 su Pegaso, la rivista letteraria diretta da Ugo Ojetti. Qualche mese dopo, fu pubblicata per i tipi di Le Monnier come libro insieme agli altri racconti noti. Sono molto legato al mondo di Corrado Alvaro e da 37 anni rappresenta l’obiettivo lungo la strada del mio ritorno, tra i miei amici di Bovalino, Reggio, Caulonia, Seminara, San Luca, Bianco, Caraffa del Bianco, Ciminà, Careri, Siderno, Serra San Bruno…"
Quali sono i libri introvabili, dei quali anche un collezionista come lei è costretto a privarsi?
"Sempre perché si finisce nella trappola dell’appetito vien mangiando, di Alvaro mi manca la prima edizione di "Gente in Aspromonte". La prima edizione in assoluto stampata da Le Monnier nel 1930. Ho, come ho già detto, il racconto su Pegaso, prima che diventasse libro, e tutte le edizioni successive. Penso sia la maledizione, la punizione divina perché rubai “Gente in Aspromonte”. La prima edizione mi è sfuggita per ben tre volte. Ora pare che Bologna mi farà chiudere il cerchio. Da non dimenticare che a Bologna nacque Laura Babini, moglie di Corrado Alvaro... buon segno! Per più di trent'anni ho frequentato don Massimo, il fratello prete di Alvaro. Lui mi ha insegnato e guidato a capire il suo fratello scrittore. Un fatto curioso, che ci apre la porta verso un altro introvabile è il primo libro di Alvaro, "Poesie grigioverdi", del 1917. Era l'ultima cosa al mondo che avrei pensato di poter fare mia. L'ho inseguito per quasi 40 anni. Don Massimo mi diceva di non disperare perché prima o poi l'avrei trovato. Tre mesi dopo la sua morte mi chiamarono da Milano. Prendere o lasciare. Il libro c'era. Pare, mi disse questo mio amico libraio, che Alvaro lo avesse regalato a un intellettuale milanese che organizzava salotti letterari. A Milano Alvaro ci ha vissuto mentre collaborava con il Corriere della Sera. Ho articoli di Alvaro, pubblicati su riviste degli anni 30 e 40 che si sono persi e che cerco di raccogliere perché non finiscano nell'oblio, ma trovare tutto è impossibile".
Partendo dall’amore per l’oggetto libro e la lettura, come definirebbe il suo rapporto con la scrittura?
"Penso che scriverò qualcosa su Alvaro, mi sento quasi pronto. Parlerò di un Alvaro solo. Dalle mie ricerche ho capito che fondamentalmente lui era una persona sola: intellettualmente, politicamente e anche dal punto di vista affettivo. Lo sento nelle sue pagine, dalle quali, però, traspare anche la sua genialità nel catturare istanti di vita e nel compiere viaggi infiniti dove si percepisce il dramma quanto la bellezza. I calabresi sembra che lo abbiano già dimenticato. E forse mai hanno percepito la vastità del suo pensiero. Ancora oggi è molto apprezzato dagli intellettuali e per questo viene tradotto in vari paesi del mondo. Bompiani in questi mesi ha ripubblicato "Itinerario Italiano"".
Chi, come te, diffonde la cultura in maniera così scrupolosa, riceve di tanto in tanto qualche riconoscimento?
"Sì, succede. Non sembrerebbe ma c’è tanta gente sensibile a queste cose. Una settimana fa ad esempio, sono stato contattato da un poeta di Bagnara Calabra, il quale mi ha comunicato che il 30 novembre riceverò un premio speciale per la mia dedizione in fatto di promozione della cultura calabrese. Sono eventi che fanno immenso piacere. Non è il premio a rendermi felice. Io lo vivo come un abbraccio che la Calabria fa a mio nonno Peppe, al quale devo tutto. Quell’abbraccio che tanto avrebbe desiderato quando era ancora in vita".
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