Venerdì, 04 Ottobre 2013 10:53

Vibo, i paradossi dell'Asp: dichiarata potabile un'acqua che in realtà non lo era

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mini homeVIBO VALENTIA - L'hanno chiamata “Trasparenza acqua”. Un'operazione di chiarezza, mirata a rassicurare i cittadini allertati dai soliti ambientalisti «allarmisti» che erano scesi in piazza, a Vibo Valentia, a manifestare contro il “sistema Alaco” e la gestione delle risorse idriche calabrese. Insomma, doveva essere un modo per mettere definitivamente fine – attraverso lo strumento comunicativo più democratico e accessibile che esiste oggi, il web – a voci e sospetti sulla salubrità del liquido che fuoriesce dai rubinetti di decine di migliaia di cittadini vibonesi.

E dunque trasparenza è stata: finalmente i risultati delle analisi effettuate da Asp e Arpacal sono stati pubblicati in rete, a disposizione degli utenti, in modo da rassicurare tutti sulla qualità dell'acqua e sulla scrupolosità degli operatori preposti a verificarne la salubrità e l'idoneità al consumo umano. Tutto come da disposizioni di legge, con un sovrappiù di trasparenza e pubblicità. Perché a queste latitudini, con quel che si sente in giro, è meglio essere precisi. Meticolosi, specie se si ha a che fare con la salute delle persone. Un percorso lineare, dunque?  Un'operazione trasparenza definitiva? Non esattamente. Se qualcuno, riguardo alla gestione delle risorse idriche calabresi, era convinto che ormai ci fosse ben poco di cui stupirsi e per cui indignarsi, dovrà ricredersi, e per farlo gli basterà dare un'occhiata ai rapporti analitici pubblicati sul sito web istituzionale dell'Asp di Vibo.

IL BENZENE TRASPARENTE
Venerdì 1 febbraio 2013 dall'Asp di Catanzaro parte un allarme che si allarga immediatamente a moltissimi comuni del Vibonese: l'acqua proveniente dal bacino artificiale che si trova nelle montagne di Brognaturo, a pochi chilometri da Serra San Bruno, è contaminata da benzene, un solvente chimico, costituente naturale del petrolio. Come da prassi, la comunicazione dell'Asp del capoluogo di regione viene emessa sulla scorta delle determinazioni analitiche prodotte dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente. La competenza spetta a Catanzaro perché il “rubinetto” di uscita dell'Alaco si trova nel territorio di San Sostene. Tutti i sindaci dei Comuni che si riforniscono da quell'invaso, gestito da Sorical, emanano immediatamente le ordinanze di non potabilità. Si scopre che le analisi che hanno rilevato il benzene risalgono a dicembre, ma l'allarme è partito due mesi dopo. Parte subito il rimpallo di responsabilità, ma di fatto non si capisce a cosa è dovuto il cortocircuito istituzionale tra Asp di Catanzaro e Arpacal, un black out comunicativo su cui tuttora indaga la Procura di Vibo. I cittadini invece se ne dimenticano presto perché, il giorno dopo l'allarme, le nuove analisi dicono che non si trattava di benzene, ma di «composti aromatici alogenati derivati dal benzene». Nessuno chiarisce se si tratti di sostanze tossiche o meno, ma comunque non sono inserite tra gli elementi da ricercare nell'acqua potabile elencati negli allegati al decreto legislativo 31/01, la bibbia normativa del settore. Dunque il benzene, che ci aveva messo due mesi a comparire, scompare nel giro di 24 ore: chi lo aveva visto ora non lo vede più, diventa trasparente.

OPERAZIONE VERITA'
Tutto nasce da uno scatto d'orgoglio dell'allora prefetto Michele Di Bari. Il “caso benzene” è finito sulle pagine di tutti i giornali, calabresi e nazionali, e sull'invaso dell'Alaco non è più possibile lasciare spazio a dubbi e ombre. Il massimo rappresentante del governo sul territorio decide quindi di metterci la faccia, fa sedere a un tavolo i dirigenti di Asp e Arpacal e impone che sull'acqua si cominci a operare con la massima attenzione, rassicurando i cittadini con ogni mezzo possibile. Così parte “Trasparenza acqua”: in evidenza sulla home page del sito dell'Asp di Vibo viene inserita una sezione che rimanda a tutte le analisi fatte, paese per paese, con relativi risultati. Rimane la scarsa chiarezza – dovuta alla vaghezza, sul punto, della legge – nella divisione delle comptenze tra le due realtà istituzionali, così come non viene eliminata la confusione tra le analisi di routine e quelle di verifica, ma i referti analitici, anche se con ritardo, vengono comunque pubblicati on line. L'esito di tutta l'operazione, però, non è esattamente quello in cui sperava il prefetto, né tantomeno si sentono più sicuri gli utenti che continuano a pagare le bollette per l'acqua “potabile” che la Regione eroga.

IO SONO LA REALTÀ, VOI LA FICTION
Forse neanche gli sceneggiatori di Antonio Albanese, alias Cetto Laqualunque, si sarebbero spinti a tanto. Leggendo le carte ufficiali, infatti, emerge come tutto non sia così limpido come si vorrebbe far credere. Esempio: a Mileto, in seguito al prelievo del 9 luglio scorso effettuato in diversi punti dell'abitato, l'acqua viene dichiarata non potabile per eccesso di coliformi totali, riscontrati in un caso con un valore pari a 21 su 100ml; a Serra San Bruno, invece, con il prelievo del 12 agosto scorso, viene rilevato un valore pari a 43, più del doppio della cittadina normanna, ma in questo caso il liquido erogato viene incredibilmente classificato come potabile. Altro esempio: a Vibo Valentia il prelievo del 16 luglio rivela una presenza di manganese (valore 62) superiore al valore limite – indicato dall'Arpacal – previsto per legge (50), ma anche qui l'acqua viene dichiarata potabile e curiosamente, dopo questa analisi di routine, il manganese non viene più cercato.
Il caso che più stupisce, però, è quello di Zaccanopoli. Prelievo del 4 marzo scorso: in due fontane pubbliche vengono trovati coliformi per un valore di 200 e maggiore a 200, quando il limite indicato dalla legge – lo scrive sempre l'Arpacal – è 0, e nella cucina della refezione scolastica comunale il valore riscontrato è 165. Riguardo a queste analisi, sul sito dell'Asp c'è solo il report dell'Arpacal e non la relativa comunicazione dell'azienda sanitaria, però basta controllare l'albo pretorio online del Comune – che per legge deve essere sempre aggiornato – per accorgersi che in quel periodo non è stata emanata nessuna ordinanza di non potabilità, sebbene sia stato trovato un livello di coliformi di gran lunga superiore a quello per cui, a Mileto, è stato vietato il consumo umano dell'acqua.
Il decreto 31/01 individua alcuni parametri “indicatori” – come quelli relativi ai coliformi, che denotano una contaminazione da germi sia fecali che ambientali – che, appunto, servono a desumere la qualità e l'efficienza di trattamento dell’acqua. In caso di non conformità a tali prescrizioni «l'autorità d'ambito, sentito il parere dell'azienda unità sanitaria locale, (...) dispone che vengano presi provvedimenti intesi a ripristinare la qualità delle acque ove ciò sia necessario per tutelare la salute umana». Ma c'è di più. Nella stessa sezione in cui sono pubblicate le analisi, c'è un link che rimanda a un documento della stessa Asp (“Procedure per la gestione delle non conformità delle acque destinate al consumo umano”) che riguardo ai coliformi recita testualmente: «Nel caso in cui i valori siano inferiori a 10 UFC/100 ml e non risultino altri elementi sospetti di un eventuale inquinamento, l'acqua è da ritenersi idonea al consumo umano. Se invece si riscontrano valori ? a 10 UFC/100ml, il dato è da considerarsi non conforme».
Un'evidente schizofrenia interpretativa, dunque, niente affatto rassicurante: è stata dichiarata potabile un'acqua che, secondo i parametri indicati dalla legge e dalla stessa azienda sanitaria, in realtà non lo era.

(articolo pubblicato sul numero 119 del Corriere della Calabria)

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