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Sei sono le condanne, due invece le assoluzioni.
È questo il verdetto emesso dai giudici della Corte d'Appello di Catanzaro che, secondo quanto riportato dall'Agi, hanno di fatto ribaltato la sentenza assolutoria emessa in primo grado nel maggio dello scorso anno dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia - all'epoca presieduto dal giudice Fabio Regolo, ora pm a Catania - contro il clan Soriano, operante nel comune di Filandari.
I giudici d'Appello hanno inflitto, complessivamente, 65 anni di carcere, così suddivisi: 15 anni e 6 mesi (1 anno e 6 mesi in primo grado per il solo reato di danneggiamento) a Leone Soriano, ritenuto il capo della consorteria mafiosa; 15 anni e 9 mesi, invece, è la condanna inflitta a Gaetano Soriano, fratello di Leone, il quale era stato assolto in primo grado; 10 anni, 6 mesi e 13mila euro di multa per Carmelo Soriano, figlio di Gaetano, anche lui come il padre assolto in primo grado; 10 anni, 8 mesi e 13mila euro di multa per Giuseppe Soriano; 3 anni, 4 mesi e 800 euro di multa per Graziella Silipigni (assolta in primo grado) e 9 anni e 6 mesi per Francesco Parrotta (assolto in primo grado). I condannati, ad eccezione della Silipigni, sono stati riconosciuti colpevoli di associazione mafiosa. Le assoluzioni, invece, riguardano Rosetta Lopreiato, moglie di Leone Soriano, e Graziella D'Ambrosio, moglie di Gaetano Soriano. A queste si aggiungono che Francesco Parrotta, Leone, Carmelo e Gaetano Soriano sono stati dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici. Mentre di cinque anni è l'interdizione comminata a Graziella Silipigni che unitamente al figlio Giuseppe Soriano dovrà risarcire la parte civile Domenico Deodato, titolare di un bar e vittima per anni delle vessazioni del clan. I giudici hanno inoltre dichiarato i fratelli Leone e Gaetano Soriano incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di tre anni, mentre la stessa incapacità è stata sancita per un anno nei confronti dei cugini Carmelo e Giuseppe Soriano, e Francesco Parrotta. Leone e Gaetano Soriano dopo l’esecuzione della pena dovranno essere sottoposti alla libertà vigilata per 3 anni, mentre la libertà vigilata per due anni ad avvenuta esecuzione pena è stata disposta per Carmelo Soriano, Giuseppe Soriano e Francesco Parrotta
A seguito del verdetto emesso dal giudici della Corte d'Appello del capoluogo di regione, dunque, sempre secondo quanto riferito dall'Agi, è stata riconosciuta la validità dell’impianto accusatorio costruito dall’allora comandante della stazione dei Carabinieri di Vibo Valentia, Nazzareno Lopreiato, supportato in quella occasione dal comandante della stazione di Filandari, Salvatore Todaro, con il coordinamento dell’allora pm della Dda di Catanzaro, Giampaolo Boninsegna. L’accusa in aula era stata poi sostenuta in primo grado dal pm della Dda, Simona Rossi, che aveva chiesto 107 anni di carcere per il clan Soriano ma si era vista cadere l’impianto accusatorio dalla sentenza del Tribunale di Vibo.
Non solo imprenditori nel mirino del clan Soriano, ma anche carabinieri e, addirittura, i giornalisti Nicola Lopreiato, della “Gazzetta del Sud”, e Pietro Comito che, all'epoca, lavorava per il quotidiano “Calabria Ora”. Entrambi, secondo l'Agi, avevano ricevuto missive e telefonate minatorie, in quanto "colpevoli" di essersi occupati delle vicende del clan.
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