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Le modalità, come detto, sono quelle dell’omicidio di ‘ndrangheta. Il tipo di arma è lo stesso che fu usato per il tentato omicidio di Giovanni Emanuele, 23 anni, gravemente ferito in un agguato il 2 aprile scorso, parente del boss Bruno Emanuele, di Gerocarne. Gli investigatori stanno valutando possibili collegamenti tra i due gravi fatti di sangue. Rimedio aveva dei precedenti penali per droga. A gennaio fu arrestato perché sorpreso a vendere marijuana, ancora prima era stato beccato a coltivare stupefacenti. Gli inquirenti – le indagini sono condotte dalla Squadra Mobile di Vibo e dalla Compagnia Carabinieri di Serra, sotto la guida del Pm Alessandro Pesce – dicono che era inserito nel circuito dello spaccio di droga, e il modo in cui è stato eliminato lascia pensare che il 26enne possa essersi messo in giri grossi, forse più grandi di lui. In realtà già l’operazione “Ghost” (101 anni di carcere inflitti in primo grado a 26 persone) aveva rivelato come l’Alto Mesima fosse la centrale operativa di un traffico di droga che aveva oltrepassato anche i confini vibonesi. Grossi giri dunque: grossi guadagni, e "regole" territoriali da rispettare, pena la morte. Per questo quella della droga resta una pista calda per gli inquirenti. Si tratta di un settore che, ovviamente, è legato a doppio filo alla ‘ndrangheta, agli scontri in atto tra alcune ‘ndrine del territorio – è l’ottavo omicidio in provincia dall’inizio dell’anno – e alla possibile nascita di nuovi “locali” e di nuove alleanze criminali che potrebbero aver scosso i vecchi equilibri interni alla malavita vibonese.
(foto: il luogo dell'agguato; nel riquadro: la vittima)
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