Giovedì, 26 Febbraio 2015 13:21

Non si lascia morire un territorio

Scritto da Salvatore Albanese
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C’è un angolo d’Italia in subbuglio. Una provincia inquieta, ultima tra le ultime, eterna Cenerentola del Bel Paese. Ormai da troppo tempo, Vibo Valentia è quel “fanalino di coda” che ritrovi lì, a un centimetro dal dramma, schiacciata sul fondo di qualsiasi classifica. Non sappiamo se possa essere in assoluto la provincia più povera d’Italia: i parametri per la misurazione sono sempre diversi, variano da manuale a manuale, da statistica a statistica. Ma se gli indicatori di riferimento sono quelli attinenti all’occupazione, alla rete viaria, alla qualità dei servizi e della vita, non ci vuole di certo la sfera magica per capire che il tracollo è vicino. Di certo l’ultimo studio Istat, diffuso poche settimane fa, ci racconta che rispetto al Prodotto interno lordo – con soli 15,5 mila euro – proprio quello del Vibonese risulta essere il territorio provinciale messo peggio.

Sembra stiano ormai per saltare tutti gli schemi. Anche ciò che pareva sereno, sicuro, blindato, inizia a vacillare in un territorio che ha ormai assunto le sembianze di un’isola infelice dove tutto appare fragile e precario. Una piccola polveriera pronta ad esplodere in ogni settore e che proprio nella questione occupazionale mette a nudo il dramma maggiore. Le vertenze aperte sono ormai innumerevoli, ed altre ancora si sono aggiunte in questi ultimi giorni. Un default che investe ormai ogni comparto, sia il pubblico che il privato. Nel Vibonese niente sembra più immune a questa mannaia agitata barbaramente da una crisi sempre più cinica e senza scrupoli, in un’epoca storica in cui centinaia, anzi migliaia di giovani restano a spasso e anche i più adulti, quelli con carriere professionali decennali alle spalle, si ritrovano da un giorno all’altro nel limbo della disoccupazione. Allora, perfino quelli che fino a qualche anno fa potevano essere considerati come dei “privilegiati”, gli impiegati del pubblico settore, oggi sono all’ultima spiaggia. Come ad esempio sta accadendo ai 380 lavoratori alle dipendenze della Provincia di Vibo costretti a tirare la cinghia ormai da un’intera stagione. Senza stipendio da quasi quattro mesi, sempre più esasperati, incatenandosi le mani hanno bloccato due giorni fa la strada che conduce alla sede dell’ente. Per placare la loro rabbia, quella di centinaia di madri e padri di famiglia impegnati a chiedere semplicemente quel che gli spetta di diritto, si è reso necessario l’intervento della Digos.

Pure sull’altro fronte, quello degli impiegati delle aziende private, il cielo all’orizzonte è sempre più cupo: la Gam Oil di Rombiolo, società metalmeccanica ultradecennale, è stata dichiarata fallita da una sentenza del Tribunale di Vibo Valentia che non ha accolto il Piano di rientro presentato dalla stessa azienda. E così il lavoro di 126 persone, impiegate in una delle più imponenti realtà industriali del territorio provinciale, cesserà di esistere. La “Piccola Mirafiori” – così la chiamavano – balza adesso all’attenzione delle cronache come l’ennesimo simbolo di un tessuto economico in pieno declino, sfibratosi ulteriormente negli anni con la chiusura o il ridimensionamento brusco di stabilimenti e sedi produttive punto di riferimento per centinaia di impiegati, donne, uomini, giovani e meno giovani, per famiglie piccole e numerose. Cresce il bollettino da guerra di un elenco lunghissimo contraddistinto da precarietà, sofferenza e miseria. Tanto che ormai si è perso il conto delle realtà toccate dal dramma: Italcementi, Nostromo, Nuovo Pignone, Snamprogetti, Eni, i precari ex art. 7 e del corpo dei Vigili del Fuoco, Saipem, i pescatori di Nicotera. E chi non ha già conosciuto il crac resta comunque in balia dell’incertezza, sull’orlo del disastro.

Come se non bastasse, anche uno dei settori che sembrava offrire maggiori margini di crescita negli ultimi anni, quello dei call center, si vede costretto ora a fare il conto con la crisi e con le strategie manageriali di industriali pronti a tagliare ciò che viene considerato marginale, periferico e dannoso forse in termini di collocazione geografica, ma non di certo per produttività. Questo quello che sono costretti a vivere i lavoratori dei centri Infocontact di Serra San Bruno e Stefanaconi, che potrebbero presto pagare dazio proprio perché residenti in una provincia figlia di un dio minore, per la quale adesso solo strumenti straordinari posti in essere dai massimi vertici del governo potrebbero evitare il realizzarsi di una catastrofe ormai altrimenti imminente. Intanto, davanti alla sede municipale di Piazza Luigi Razza a Vibo molti lavoratori di aziende ed enti in crisi hanno cominciato a costruire la tendopoli del lavoro, un presidio permanente di lotta per riappropriarsi dei diritti negati.

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