Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Nei miei occhi chiusi Pasquale è il frastuono degli zoccoli di un cavallo nero e bianco. Un cavallo che passa veloce come il vento. Passa tra gli alberi, sulla strada, entra nelle case, nelle stanze, nelle ossa. Ma anche il tempo passa veloce. Scorre inesorabilmente, vola via portando con se il ricordo di ogni cosa. Rischiando di cancellare quello che non meriterebbe di essere cancellato.
Guardo con la memoria e rivedo Pasquale, lo ritrovo oggi in quello che avrebbe dovuto essere un giorno di festa, il giorno del suo ventitreesimo compleanno. Pasquale Andreacchi, nato il 13 settembre del 1991 ed ucciso diciotto anni dopo. Per me è lì, ancora in sella, saldo sul suo cavallo, sorride e galoppa. Instancabile. Un gigante buono di due metri con stampata sul viso l’espressione vitale da eterno ragazzino. Poi il ricordo si strappa, come un salto nel vuoto rievoca il peggio e Pasquale, di colpo, non c’è più. Perché la memoria torna a quel maledetto 27 dicembre 2009. Ancora gli alberi, come quelli che sfiorava in groppa al suo cavallo. Un nastro di plastica bagnato, bianco e rosso. Lo sguardo vuoto dei fratelli, una madre con il buio nel cuore. Il tramonto che si colora del blu intermittente dei lampeggianti. Sparpagliati, fra l’erba lavata dalla pioggia, resti di uno scheletro, disseminati in una manciata di passi da una mano criminale, che ancora, a distanza di quasi cinque anni, insiste a non avere un nome. Poi il silenzio. Solo sospetti, testimonianze rese e ritrattate, indagini imperfette, omertà ed indifferenza.
Oggi Pasquale avrebbe dovuto compiere ventitre anni. Sarebbe stato ancora un ragazzino, cortese e timido. Avrebbe giocato con i suoi fratelli, abbracciati sul dorso del suo cavallo. Avrebbe sorriso ai clienti del maneggio della sua famiglia. Gli avrebbe spiegato come quella passione se la sentiva addosso, nelle vene, praticamente da quando era nato. Avrebbe vissuto una vita normale, fatta di amore e lavoro. Una vita, invece, interrotta bruscamente dall’odio, spezzata dalla violenza.
Era scomparso più di due mesi prima, nel tardo pomeriggio dell’11 ottobre. Da lì in poi se ne era persa ogni traccia, fino al tragico ritrovamento. Prima il cranio - adagiato sul fondo di un cassonetto della spazzatura, con un foro da pallottola al centro della fronte - e dopo, fra Natale e Capodanno, tutto il resto. Il cadavere di Pasquale, si ipotizzava fin da subito, potrebbe essere stato gettato in pasto ad animali. Troppo lucide quelle ossa, ritrovate completamente scarnificate e restituite alla famiglia solo dopo mesi di esami, sistemate in una scatola come pezzi di legno marcio. Il funerale si celebrò il 14 maggio 2010. In quel bosco di castagno oggi è rimasta una lapide, posta a ricordo del ragazzo da una famiglia sola e nuda, impotente, che non smette di chiedere verità. Tutt’attorno un paese forse troppo vigliacco per ricordare. Un’amministrazione reticente, che si rifiuta, quasi come fosse una iattura, di titolare uno scorcio, una piazza, una via della città a memoria del povero Pasquale. Si annebbia, allora, il ricordo di un ragazzo semplice e gentile. Un ragazzo di soli 18 anni, trucidato innocente. Il tempo diventa complice del male e lascia aperte ferite che portano con se mille domande, rimaste senza risposta, forse, per sempre.
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