Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Louis Conetta aveva 60 anni. Faceva l’imprenditore a Lamezia Terme, una delle poche zone industriali superstiti in Calabria. Era noto a tutti – raccontano stamattina i quotidiani – il suo attaccamento al lavoro.
Francese, da anni trapiantato in Calabria, gestiva a fatica in questi ultimi tempi un’azienda di impianti elettrici. Da qualche settimana la situazione si era fatta insopportabile: debiti su debiti, conseguenze, soprattutto, di una crisi funesta. Le vendite calano, i crediti per lavori già prestati stentano a rientrare, i fornitori bussano alla porta, i contenziosi legali si accumulano. Dopo l’ennesima implacabile cartella esattoriale indirizzata da Equitalia direttamente alla sede legale della sua attività, Louis non resiste e decide di farla finita. Altri 400mila euro sono un fardello troppo grosso da sopportare. Ieri, nel cuore di un pomeriggio uggioso, rinchiuso in un magazzino della sua stessa ditta in via dei Bizantini, si lega una corda attorno al collo e si impicca. Sono le 16 in punto. Dopo qualche ora è un parente a trovarlo e quando sul posto arrivano ambulanza e carabinieri, è già troppo tardi. Non c’è più nulla da fare. Louis Conetta è morto di crisi. Ha calato il sipario davanti a un’intera vita dedicata al lavoro e che proprio per il lavoro si è interrotta nella maniera più tragica.
Lascia una moglie e tre figli. Il cielo di Lamezia si colora d’angoscia. È il sapore aspro di una storia già nota, che si ripete e ritorna, puntuale, a scuotere le coscienze. È la storia della burocrazia perversa di un paese incivile. Di imprenditori vessati, di famiglie “violentate” da esazioni coatte, irrazionali e selvagge. Un attentato alla dignità delle persone, che conduce dritto fino all’autodistruzione. Senza alcuna pietà, né misericordia. E già prima di Louis Conetta, molti altri il loro debito lo hanno pagato con la vita. E altri ancora si aggiungeranno. Perché le cartelle di Equitalia sono un macigno pesante. Un tarlo maligno che ti divora pian piano, ti soffoca e tra la frustrazione e l’impotenza si impossessa delle menti depresse di imprenditori sul lastrico per trascinarli infine al compimento di un gesto estremo. A Equitalia o all’Agenzia delle Entrate non importa se da mesi, spesso anni, la tua azienda è in difficoltà. E lo è soprattutto semplicemente perché chi ha il potere di decidere, di gestire, di influenzare i mercati ha spinto un intero Paese verso una pressione fiscale pari a quasi il 60 per cento.
Tunnel bui attraverso i quali, quasi mai, si riesce a vedere la luce, a scorgere una soluzione che possa scongiurare il peggio. Perché lo Stato continua a pensare ai propri interessi, non a quelli dei cittadini. Li abbandona, li violenta. Si mostra freddo e indifferente anche rispetto alla più urgente richiesta di aiuto. È assente, non c’è. Eccetto quando deve battere cassa, quando come un cecchino infallibile sguinzaglia sui cantieri, fra i banconi, nei magazzini, in qualsivoglia attività commerciale, nelle sedi delle aziende, sul posto di lavoro, un’armata di condor famelici pronti a riscuotere tutto e anche oltre. Fino all’ultimo centesimo, sempre più spesso fino alla morte. Uno Stato intento, magari, a far uscire dalle proprie casse milioni di euro per gli stipendi di pochi supermanager, anche di quelli a capo degli enti preposti alla riscossione coatta dei pagamenti insoluti. Basterebbe allora applicare una vera spending review ai loro stipendi, per costituire magari un fondo dal quale attingere per far fronte all’insolvenza di chi non ce la fa a pagare per motivi concreti. Ci vorranno altri tecnici per poter sentenziare ufficialmente che i tentativi, fino ad ora blandi, come quelli della poco nota “legge salva suicidi” varata dal governo Monti, si sono dimostrati troppo fragili, forse del tutto inconsistenti? L’impassibilità si annida allora nelle pieghe della grande macchina statale, in certi assurdi sistemi burocratici che non hanno alcun contatto con la gente comune, con la loro disperazione. Una macchina "usuraia", che non procura danni alle vetrate o alle serrande, ma uccide lentamente le persone distruggendo, giorno dopo giorno, la loro esistenza e quella di intere famiglie. E poco interessa se poi oltre un suicidio ci sono delle persone, dei figli, delle vedove. Di chi resta non importa a nessuno. Figuriamoci allora di chi si toglie la vita, di chi non ha altra scelta che morire di crisi.
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