Giovedì, 20 Agosto 2015 13:00

La meritocrazia ai tempi di Calabria Etica

Scritto da Salvatore Albanese
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Le cronache recenti ci spingono sempre più verso una lucida ed amara consapevolezza. La Calabria, da sempre in bilico sul ciglio della precarietà occupazionale, ha avuto la prova più evidente – se mai ve ne fosse stato ancora bisogno – di quanto in questa terra poco possano contare formazione, meriti, curriculum ed esperienze.

I fatti sono noti. Nello scorso novembre, con i seggi per il rinnovo del Consiglio regionale già allestiti, nel palazzo di qualche “ente in house” della Regione Calabria, si continua forsennatamente a sfornare contratti, purché i beneficiari sappiano scegliere il nome giusto da segnare poi sulla scheda elettorale. A Calabria Etica in un mese si sottoscrivono 251 assunzioni, di cui ben 97 tra giovedì 20 e venerdì 21. La domenica successiva, il 23 novembre 2014, si andrà al voto. Per non sbagliare, alcuni mesi prima, l’ex presidente dell’ente, Pasqualino Ruberto, aveva assunto anche la fidanzata, blindandola su una delle numerose poltrone di Calabria Etica con tre anni di contratto a 3mila euro al mese.

La procura di Catanzaro apre un’inchiesta, le cui prime deduzioni arrivano ieri: il gip ordina il sequestro di beni di proprietà dell’ex presidente Ruberto – che risulta indagato per abuso d’ufficio e peculato – per un valore complessivo di 361mila euro. La magistratura, inoltre, chiede la sospensione dai pubblici uffici per l’ex direttore generale del dipartimento Lavoro, Vincenzo Caserta, sotto inchiesta per due ipotesi di abuso d’ufficio, e che comunque sarà ascoltato nei prossimi giorni dal giudice per le indagini preliminari. Ma non finisce qui. Ci sarebbe, infatti, una novità di rilievo. Ruberto e Caserta potrebbero presto non rimanere gli unici iscritti sul registro degli indagati: al vaglio dell’autorità giudiziaria ci sarebbero anche le posizioni di altri tre soggetti, sui quali sono in corso verifiche e che, in un modo o nell’altro, avrebbero beneficiato o partecipato alla distrazione di fondi pubblici per fini “clientelari”. «Un’inquietante gestione della cosa pubblica – si legge nelle carte dell'inchiesta –, attuata perseguendo solo ed esclusivamente finalità personali e private, lontana da qualsiasi cura dell’interesse generale, con gravi ripercussioni economiche in danno della Regione Calabria».

Insomma, da una parte giovani e meno giovani, uomini e donne, poveri cristi e professionisti affermati, tutti in fila ad allattare dal seno grosso di un sistema distorto, fatto di legami, poteri, conoscenze, contatti, raccomandazioni, favori. Dall’altra politici ed aspiranti politici pronti a raccogliere consensi scaturiti non da azioni di buona amministrazione, ma da assunzioni a grappolo, in barba ad ogni presupposto meritocratico. La magistratura andrà fino in fondo? Vedremo, anche se dopo tutto la “prassi” è nota da tempo e non riguarda certamente solo Calabria Etica. Perché è questa la messa cantata di un’intera regione, o meglio di un intero paese. Ereditata dalle generazioni che furono. Da padri, nonni, vecchi signori che introducendo queste “regole del gioco”, facendole proprie, non capivano che in realtà stavano solo iniziando a fregare i loro stessi figli. A bruciare il loro futuro. Perché un mondo basato sul merito non fa parte di questo mondo. Non è contemplato dall’architettura della nostra società. Non serve e non aiuta i potenti, quelli che hanno bisogno delle macellerie sociali e delle lotte fra poveri, di quella fame che ti porta a calpestare la tua stessa dignità perché devi lavorare, vivere, mangiare, farti una famiglia, crescere i figli. I “potenti” hanno bisogno di sentire stretto fra le mani il guinzaglio teso che conduce dritto fino al collo degli “ultimi”, di chi trova libero accesso solo se sono gli stessi potenti a dettare i ritmi. Hanno bisogno di impianti sociali che gli consentano di continuare a liberare ossigeno e pane in esclusiva funzione del vantaggio che riescono a ricavare: il consenso elettorale, l’appoggio incondizionato, il profitto, la riverenza, l’ossequio, la devozione cieca.

Ma d’altronde – suggerisce Roberto Esposito – nel paese dell’“aggiungi un posto a tavola” chi potrebbe mai definire il concetto di merito? Quale arbitro neutrale può assegnarne il titolo? Tutti hanno diritto a un reddito o a un lavoro? I più preparati hanno la precedenza? Sono domande irrisolte, eppure un po’ di merito non guasterebbe «in un sistema esasperatamente oppresso da camerati e compari».

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