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SERRA SAN BRUNO - Erano da poco passate le 19 dell’ 11 ottobre di tre anni fa. Pasquale Andreacchi, dopo essersi ritirato dal maneggio in compagnia del padre Salvatore, esce per comprare le sigarette ad un distributore poco distante dalla propria abitazione. Purtroppo, però, non fa più ritorno. La mattina seguente, la madre Maria Rosa non vedendo Pasquale a letto, si preoccupa e così inizia il tam-tam di telefonate a parenti e amici per capire se qualcuno lo avesse visto. Non avendo notizie, i familiari del gigante buono, amante dei cavalli, si recano presso il commissariato di Polizia per sporgere denuncia. Dopo una serie di attività investigative, è emerso che Pasquale avrebbe avuto dei problemi con un pregiudicato della zona per la compravendita di un cavallo non pagato.
Due mesi dopo e, precisamente, il 9 dicembre 2009, la macabra scoperta: alcuni operai comunali si accorgono, in un cassonetto della spazzatura, della presenza di un cranio con un foro provocato da un colpo di pistola ed un femore spezzato piuttosto lungo. Passano due settimane e, sempre nei pressi del cassonetto, in via Corrado Alvaro, vengono ritrovati altri resti umani. Nelle vicinanze un portafoglio e dei vestiti poggiati su una pagina di giornale. «Quei resti non sono di nostro figlio», hanno affermato poche ore dopo il ritrovamento Salvatore Andreacchi e Maria Rosa Miraglia. Il 15 gennaio 2010, però, dall’ esame del Dna arriva la conferma: quelle ossa scarnificate appartengono proprio al giovane amante dei cavalli. Pasquale non ha mai avuto problemi con la giustizia. Era un giovane come tanti. Ucciso da mano ancora ignota. A tre anni e mezzo di distanza, la famiglia Andreacchi, attende ancora quella verità e giustizia che tarda ad arrivare. Pasquale, probabilmente, è morto la sera stessa della scomparsa. Fatto inginocchiare su una pagina di giornale, gli assassini lo hanno ucciso, sparando un colpo di pistola in testa, e poi è stato dato in pasto ai cinghiali. Ciò che desta maggiore preoccupazione, però, non è tanto l’omertà dei serresi, che hanno sempre dimostrato totale indifferenza di fronte ad un caso analogo, bensì il fatto che oggi Pasquale non viene considerato una vittima di mafia. Lunedì 17 febbraio, presso il salone di palazzo Chimirri, si è tenuta una giornata interamente dedicata alla legalità, nel corso della quale è stata ricordata la figura di Pasquale e delle tante vittime innocenti. Al termine dell’iniziativa, il testimone di giustizia Rocco Mangiardi ha consegnato simbolicamente al presidente del consiglio comunale, Giuseppe De Raffele, le firme raccolte con le quali si chiedeva all’amministrazione comunale di intitolare una via del paese al ‘gigante buono’.
Ebbene, sono trascorsi più di due mesi da quel 17 febbraio e ancora della via neanche l’ombra. Maria Antonietta Napoli, la zia del giovane ucciso tre anni fa, contesta l’inerzia che l’esecutivo guidato dal sindaco Bruno Rosi ha dimostrato in queste settimane. I tempi per l’intitolazione, infatti, dovevano essere brevi. Così, però, non è stato. «La mattina del 9 aprile - fa sapere la Napoli - mi sono recata dal sindaco, il quale mi ha consigliato di rivederci dopo dieci giorni. Mercoledì scorso, però, sono stata nuovamente in Comune ed il primo cittadino si è defilato. Al momento, non è stata fatta alcuna richiesta in Prefettura per l’intitolazione. Per questo motivo, assieme all’ avvocato Giovanna Fronte, legale della famiglia, provvederemo da qui a breve a presentare una lettera all’ Utg». Gli Andreacchi, però, non intendono mollare. Vanno avanti fino in fondo, perchè un ragazzo come Pasquale «merita una via che, a chiedere, non siamo solo noi familiari, ma 600 cittadini che, liberamente, hanno deciso di firmare la petizione».
articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria
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