Domenica, 03 Giugno 2018 13:45

Un partito nel congelatore

Scritto da Salvatore Albanese
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Forse i tempi non sono ancora abbastanza maturi per capire se il Partito democratico vibonese si è definitivamente perso o se questo è semplicemente il momento buono per fermarsi a riflettere, chiudersi a riccio per smaltire la sbornia del 4 marzo, fare quadrato attorno a quello che resta e riorganizzarsi in attesa che la direzione del vento cambi. Certo Bruno Censore con i popcorn in mano, seduto sulla poltrona di casa a osservare da soggetto esterno le evoluzioni del quadro politico senza tentare direttamente o indirettamente di poterlo influenzare, proprio non riusciamo a immaginarlo. E non lo immaginiamo perché lui, più di ogni altro, nel corso degli ultimi anni si è quotidianamente nutrito di incontri vis-à-vis, di interlocuzioni e conoscenze dirette, di azioni costanti e continue, di un moto perpetuo che gli ha permesso di scalare le istituzioni (dall’elezione a sindaco di Serra San Bruno del 2002 a quella in Parlamento del 2013 passando per i due mandati alla Regione) ma anche e soprattutto le gerarchie interne al Pd calabrese.

Un peso politico, quello di Censore, sicuramente ridimensionato dall’ultimo responso elettorale, ma che non crediamo l’ex parlamentare voglia e possa rassegnarsi a mantenere a lungo. E non è un caso se l’analisi che inizia tentando di immaginare il futuro del Pd vibonese finisca per deragliare presto sulla disamina dei prossimi potenziali passi del docente dell’Istituto “Luigi Einaudi” di Serra San Bruno, di recente tornato in servizio. Perché il Partito democratico vibonese e le sorti politiche di Bruno Censore hanno, da non poco tempo, camminato parallelamente come due binari che corrono uno appaiato all’altro.

L’impressione è allora che in questo momento si sia volutamente deciso di staccare la spina, di mettere in congelatore l’energia da leader vigoroso con la quale Censore ha fatto il bello e il cattivo tempo nel partito provinciale, dettando i tempi e indicando le soluzioni anche solo rispetto al tono cromatico da utilizzare nella ritinteggiatura delle pareti della Federazione di via Argentaria. Ecco perché il Partito democratico vibonese, quello che più di altre province in Calabria teneva alta la percentuale dei consensi, vera e propria roccaforte renziana alle ultime Primarie, è sparito dai radar negli ultimi giorni. Non vi è stata traccia infatti di “emissari” vibonesi all’iniziativa promossa due giorni fa a Roma dalla segreteria nazionale del Pd «in difesa della democrazia». La manifestazione pro-Mattarella nella Capitale ha contato sulla presenza di uno sparuto gruppo di attivisti e di qualche dirigente nazionale arrivato direttamente da Cosenza, mentre i pullman prenotati dalle altre quattro Federazioni provinciali, compresa quella di Vibo Valentia, pare siano stati disdetti per il numero insufficiente di adesioni alla trasferta romana nonostante questa fosse completamente gratuita.

Un dato significativo quello che riguarda proprio Vibo se si pensa che nei tempi d’oro sarebbe bastato uno stretto giro di telefonate per riempire anche più di un autobus pronto a salpare dalla provincia verso le mete di volta in volta indicate dal partito. Eppure niente, questa volta Censore a Roma non ci è andato, e non ci è andato neanche il segretario provinciale Vincenzo Insardà e né il consigliere regionale Michele Mirabello. Solo due giorni prima si è tentato di abbozzare un timido sit-in ai piedi della Prefettura di Vibo Valentia «a sostegno del Presidente della Repubblica Mattarella» vittima, in quel momento, «dell’attacco scandaloso sferrato da Movimento Cinque Stelle e Lega». Le cose poi nel giro di poche ore si erano totalmente ribaltate, ma anche in tal caso i numeri degli aderenti all’iniziativa non avevano impressionato più di tanto.

Tralasciando le piazze e le vicissitudini ingarbugliate che negli ultimi giorni hanno portato alla formazione del nuovo Governo, nel contesto locale la sensazione è che se Censore rallenta, volontariamente o meno, finisce per rallentare anche il Partito democratico. Soprattutto perché chi potrebbe metterne a repentaglio la leadership territoriale, il neo deputato collega di partito, Antonio Viscomi – che ha anche lui perso nel collegio di residenza ma si è salvato col paracadute del plurinominale – sembra ancora poco preoccupato di issare bandierine nel Vibonese limitandosi a coltivare la cerchia ristretta dei sindaci sostenitori, guidata dal primo cittadino di Pizzo Gianluca Callipo.

Chi vivrà vedrà. Così si usa, in genere, liquidare le vicende eccessivamente incerte e indefinite. Tanto incerte e indefinite come appare oggi il futuro del Pd vibonese e di chi fino a oggi ne ha mosso le redini. Ogni aspirazione – questo invece pare assodato – verrà covata ancora dal tepore non di un «caminetto», ma di un braciere personale secondo una visione poco condivisa e molto individualizzata che nel corso degli ultimi anni ha eccessivamente influenzato le strategie di un partito provinciale che ha, via via, finito per estromettere dal suo interno chiunque osasse non assoggettarsi alle direttive, mortificando le posizioni minoritarie, le visioni diverse che proprio in una sede di partito dovrebbero trovare il luogo adatto di incontro e se necessario di scontro ma comunque sempre di discussione. Certo Censore ha già lanciato l’amo della candidatura alla segreteria regionale che, con la fine dell’era Magorno, dovrebbe venire presto posta al voto. Ma si è trattato di un tentativo, quello dell’inizio dello scorso aprile, che in realtà ha lasciato palesare più il timore di diventare marginale che altro.

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