Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Si dicono «stanchi di vedere leso il diritto al lavoro sano, sicuro e dignitoso, così come tutelato, dall’articolo 36 della Costituzione, nonché dall’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa». Per questo motivo, i lavoratori in servizio al Comune di Serra San Bruno hanno deciso di organizzare un sit-in di protesta in programma giovedì prossimo, 15 luglio, all’esterno della sede municipale. Oltre a questo, hanno scritto una lettera indirizzata al prefetto di Vibo Valentia, al presidente della Repubblica e alla Corte europea dei diritti dell’uomo nella quale parlano di una «lunga storia di sacrifici, speranze, attese, illusioni e puntuali delusioni. Tutto ha inizio tra il 1997 ed il 1998 - scrivono i lavoratori - quando, per alcuni, a seguito dell’attuazione di progetti di lavoro socialmente utile e per altri nell’ambito dell’attivazione di progetti di pubblica utilità ex d. lgs. 7 agosto 1997, n. 280, abbiamo deciso, a ragione o a torto e per le ragioni più disparate, di aprirci a tale opportunità lavorativa. Sede del nostro lavoro il Comune di Serra San Bruno, presso il quale ciascuno di noi ha ricoperto nel corso degli anni le mansioni e le occupazioni più svariate: spazzino, addetto alla manutenzione o alla raccolta dei rifiuti, autista, operatore a supporto dei servizi sociali, finanche a svolgere compiti di concetto che non collimano con le qualifiche per le quali siamo retribuiti (quando lo siamo!). L’ente presso il quale prestiamo il nostro lavoro, infatti, ha oramai pochissimi dipendenti di ruolo, tanto che, se noi decidessimo e avessimo il coraggio di fermarci per pura protesta, tutte le attività e i servizi offerti dallo stesso ne risentirebbero pesantemente. Fino al 2014 il lavoro da noi svolto può essere qualificato lavoro nero legalizzato, giacché in relazione a detto periodo non è stato versato alcun contributo ai fini pensionistici. Per tale rapporto di lavoro, un part-time a 30 ore settimanali, percepivamo circa 800 euro mensili, oltre gli eventuali assegni per il carico familiare. In quegli anni vari sono stati i rinnovi e le lotte per ottenerli, venivamo ricordati in occasione dell’approssimarsi delle diverse competizioni elettorali o dai vari sindacati per l’incetta di adesioni. Dal 2015 - evidenziano ancora i lavoratori - il decreto interministeriale dell'8 ottobre 2014, ai sensi dell'art. 1 comma 207 della Legge numero 147/2013, ha stabilito le procedure per la stabilizzazione, permettendo la contrattualizzazione a tempo determinato part-time a 26 ore settimanali, con inquadramento dei lavoratori solo in categoria “A” o “B”. Anche in questo caso si sono susseguite più proroghe, che hanno visto la sottoscrizione di diverse postille contrattuali, prima per periodi per lo più annuali, mentre per il 2021, ad oggi, la gran parte di noi (lpu) è giunta alla terza proroga, l’ultima delle quali dovrebbe vedere la sua scadenza al 31 del corrente mese. E dopo? Forse giungeremo a essere assunti a 18 ore settimanali per percepire circa 600 euro mensili; quelli di noi che facevano parte degli lsu, invece, sono già dipendenti di ruolo, ma a sole 12 ore settimanali con una retribuzione di poco più di 400 euro al mese».
«In tutto ciò gli unici a non essere tutelati siamo noi, parte più debole dell’ingranaggio. E i tanto decantati diritti costituzionali, adesso ribaditi anche a livello europeo? Non abbiamo dignità lavorativa e sociale. Apparteniamo quasi tutti a famiglie monoreddito, chi delle signorie loro riuscirebbe a “campare” con delle simili miserie?! E beffa tra le beffe, chi riuscirebbe a sopravvivere se la, sebbene misera, paga fosse corrisposta una volta tanto, a seconda della disponibilità di non sappiamo bene chi? Ministero, Regione, Ente di utilizzo?! Fa lo stesso, poiché rimane certo che è da ben 4 o 5 mesi che i nostri portafogli non vedono un centesimo. Un detto che ricorre spesso qui da noi e che ben si adatta al caso recita così, tradotto in italiano: “A togliere e non mettere si prosciuga anche l’acqua del mare” (tenendo conto che per noi, più che del mare, potremmo parlare di una piccola pozzanghera)».
I lavoratori, dunque, si chiedono «oltre che piangere, cosa dobbiamo fare? Siamo stanchi - concludono - e pensiamo a ragione, per questo, oltre che segnalare apertamente e più diffusamente la situazione nella quale ci troviamo, abbiamo deciso di intraprendere, nei prossimi giorni, un sit-in di protesta presso lo stesso luogo di lavoro».
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