Domenica, 17 Maggio 2020 14:59

La “Fase 1” nel reportage di Salvatore Federico. Qualcosa che resterà

Scritto da Sergio Pelaia
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È come se avesse sempre piovuto, come se per due mesi e più ci fosse sempre stata quella leggera nebbiolina che avvolge moltissimi mattini d’inverno nei paesi di montagna. È stato in effetti così nelle anime di un popolo che ha vissuto il tempo sospeso arrivato all’improvviso nei primi giorni di marzo. Ma non sono le nuvole grigie e la luce fioca i registri che rendono unico il reportage fotografico di Salvatore Federico sulla “Fase 1” (qui tutte le foto). I colori, la luce, la sensazione di movimento confuso in un contesto invece statico, la patina scura che rende apparentemente tutto indistinto, vago, a tratti oscuro, sono solo tratti estetici appesi all’interpretazione di chi guarda.

Quello che resterà, al di là dei giudizi più o meno critici e più o meno motivati di ognuno di noi, è la fotografia cruda di un paesaggio umano che difficilmente si troverà di nuovo a vivere gli stessi luoghi con uguali sentimenti. Resterà lo sguardo perso, triste e consapevole di chi ha vissuto altre tragedie della Storia e pensava che la miseria e la solitudine fossero consegnate a un tempo ormai lontano. Resterà l’ostinata resistenza di chi, armato di mascherine e dubbi, si prende comunque cura della terra e degli animali, di chi trasporta la legna, di chi si mette in fila per riscuotere la pensione, di chi prega i santi e ricorda i morti, di chi porta la zappa su una schiena piegata solo dal peso della dignità. Resterà il silenzio del monaco la cui clausura è turbata tanto quanto la normalità di tutti gli altri, resterà il cane che si dimentica di collare e guinzaglio e si riprende la strada come un monarca senza sudditi. Resteranno i fiori, gli alberi, il fiume, abituati a crescere e a scorrere indifferenti alla boria di chi passa loro a fianco e sopra senza nemmeno accorgersene.

Raccontare il proprio tempo, mentre sta accadendo, è ciò che ogni narratore prova a fare con gli occhi, con le mani e con le gambe. Salvatore Federico ci riesce senza aver bisogno di parole, di cornici retoriche, di finzioni. Ha creato un racconto per immagini che ha riconoscibilità e profondità, impregnato delle storie di un popolo in cammino attraverso la quarantena. Ha documentato una fase storica guardando con realismo e poesia all’angoscia, alla fierezza e alla semplicità della nostra gente. Qualcosa che resterà.

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