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Rifiuti tossici, navi dei veleni, quadro epidemiologico in Calabria. Sono stati molti e scottanti i temi trattati a “Detto tra noi”, su Rs98, giovedì scorso (qui la registrazione integrale della trasmissione). Dai documenti del Sisde desecretati nel 2014, passando per il rapporto Istisan sulla mortalità in Calabria, fino alle inchieste sulle navi dei veleni. Ospite ai microfoni di Daniela Maiolo e Sergio Pelaia, con la regia di Bruno Iozzo, il giornalista di Zoom24 Argentino Serraino, che di recente si è occupato dei dossier sui presunti rifiuti tossici interrati negli anni ’90 nella Calabria centro-meridionale, tra cui rientrano i territori delle Serre vibonesi, tema che fu caro anche alle battaglie del Comitato Civico Pro-Serre.
COSA SI NASCONDE NELLE SERRE «Ero ancora studente liceale – ha raccontato il cronista – quando mi sono imbattuto nell’inchiesta sui presunti rifiuti tossici interrati nelle Serre. A distanza di tempo mi sono chiesto perché non si fosse arrivati a una conclusione». Il giovane giornalista, parlando di una possibile “Terra dei fuochi” calabrese, ha scavato per capire come mai dopo la desecretazione degli atti nel 2014 la questione fosse finita nel dimenticatoio. Una preliminare ricerca delle risposte ha coinvolto in primis la Prefettura. «Un mese prima di pubblicare il primo dei miei tre articoli – ha detto Serraino – ho scritto alla Prefettura di Vibo chiedendo spiegazioni in merito alla task force che l’Utg avrebbe dovuto istituire dopo la desecretazione dei documenti. In merito non ho ricevuto nessuna risposta e dopo la pubblicazione del primo articolo hanno scritto dicendo che la task force non è mai stata istituita». Progetto rimasto dunque un mero proclama del momento da spendere a mezzo stampa. Rispetto alla veridicità di quanto riportato in quei documenti del Sisde Serraino ha continuato: «Da giornalisti parliamo di presunto traffico di scorie radioattive anche se i documenti dei Servizi raccontano ben più di un’ipotesi, riportando dichiarazioni di informatori, che non si conoscono tra loro, che combaciano rispetto al traffico di rifiuti, con luoghi e sostanze ben identificate come l’uranio rosso». Nel prosieguo dell’intervento Serraino ha sottolineato come al danno sia seguita la beffa. Per verificare sul campo l’esistenza o meno delle scorie è partito il progetto Miapi (Monitoraggio individuazione aree potenzialmente inquinanti – qui un nostro articolo del 2014). Un programma finanziato con fondi europei che in Calabria era stato affidato ai carabinieri del Noe di Reggio e all’Arpacal. «Nel ricostruire l’azione di monitoraggio – ha detto ancora il cronista – ho riscontrato che nessuno ne sapeva niente. Nel 2016 alcuni sindaci hanno anche chiesto il report delle analisi fatte da Arpacal ma non è mai arrivato. Stando alle parole dei vertici dell'epoca dell’Agenzia regionale alle prime analisi più sommarie ne sarebbero seguite altre dettagliate fatte con strumenti più sofisticati. A parte queste dichiarazioni ad oggi tutto tace».
ALTA INCIDENZA DEI TUMORI A prendere di seguito la parola, affrontando la questione da un punto di vista scientifico, è stato Massimiliano Pitimada coautore del rapporto Iss “Studio epidemiologico dei siti contaminati della Calabria”. «Lo studio – è stato l’incipit di Pitimada – è nato dalla brillante idea del dottor Comba, dirigente dell’Iss nonché artefice del progetto Sentieri. Uno studio che riguarda lo stato di salute delle popolazioni che risiedono nei siti contaminati». Come spiegato da Pitimada i motivi principali che hanno condotto allo studio sono tre: una ricerca della Regione in merito a 48 siti individuati da bonificare, di cui 18 ad alto rischio; i passi in avanti nella costruzione dello stato di salute della popolazione, che hanno portato l’Iss anche a istituire un master della durata di 2 anni sul tema; la diffusa percezione del rischio associata alla contaminazione ambientale. Poi, in merito a quanto è venuto a galla con la ricerca Pitimada ha parlato di 4 aree con dati che meritano di essere attenzionati, per avere un primo quadro dello stato di salute. Tra queste anche le Serre vibonesi: «Qui – ha continuato – si è fatto uno studio esplorativo basato sui dati di mortalità e sono emersi eccessi di mortalità tumorali, in particolare a livello gastrico, e patologie cronico degenerative». Un quadro che avrebbe dovuto allarmare le massime autorità istituzionali ma che ha portato al solito rimpallo di responsabilità e al paradosso della politica che focalizza i problemi in periodo elettorale per poi relegarli nel dimenticatoio.
“AVVELENATI” A chiudere la carrellata di interventi c’è stata la giornalista di Sky Tg24 Manuela Iatì, coautrice, assieme a Giuseppe Baldessarro, del libro “Avvelenati”. Un testo che la stessa giornalista tiene a sottolineare di non aver scritto per lavoro bensì per un dovere sociale che riguarda la salute delle persone e del territorio. Le navi dei veleni, il business del nucleare, l'omicidio di Ilaria Alpi e altri eventi ancora avvolti dal mistero sono tutti legati da un filo rosso. «Noi – ha spiegato la giornalista – abbiamo fatto breccia prima della desecretazione degli atti e con lo spunto del ritrovamento del famoso “relitto di Cetraro” abbiamo raccontato la nostra storia». Storia senza soluzioni o colpevoli ma che «è servita a sollevare dubbi sullo smercio di rifiuti illeciti, con la ‘ndrangheta che ha usato la Calabria come pattumiera». A distanza di 10 anni per Iatì è stata importante l’indignazione della gente che può e deve fare da «spinta propulsiva per l’azione». Anche se, superato il momento, si tende a dimenticare tutto mentre le istituzioni continuano a insabbiare ciò che è più comodo, per la collettività, far finta di non vedere.
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