Sabato, 20 Marzo 2021 13:40

Il canto del cigno

Scritto da Salvatore Albanese
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Mentre fuori imperversa una pandemia che da oltre un anno non dà tregua all’Italia ed al mondo, il circolo provinciale del Partito democratico è tornato in modalità Torre di Babele. Un calderone di lingue diverse, di correnti alternate, di coltelli affilati. Un mondo fuori dal mondo dove l’obiettivo unico e poco meritorio resta quello della spietata guerra di posizione, scisso tra chi vorrebbe disegnare nuove gerarchie e chi invece vorrebbe conservarle. Non un contributo sull’attuazione di un piano vaccinale che marcia a rilento, non una parola sulle condizioni strutturali di scuole e ospedali, sui numeri di una disoccupazione ancora più pesanti e su tutti gli altri vulnus che l’epidemia da Covid 19 ha fatto emergere in maniera ancora più netta. Niente, il Pd di Vibo Valentia vive su un altro pianeta e i suoi dirigenti di partito continuano ad agitarsi nel sottobosco delle strategie, affannati nell’architettare ponti o muri a favore o contro qualcuno che vorrebbe fare le scarpe a qualcun altro e viceversa.

L’oggetto della contesa è assicurarsi un posto in lista alle regionali del prossimo autunno. Tutto qui. E molto ruota ancora attorno alla figura – diventata adesso ingombrante anche per il partito nazionale – di Bruno Censore che ieri sera ha mosso una rappresentanza nutrita di fedeli segretari di circolo chiamati, da ogni angolo della provincia, ad immolarsi per la sua causa. Al netto di qualche defezione dell’ultimo minuto (il segretario di Zambrone, Marcello Giannini, ha appena dichiarato che la sua firma è stata apposta sotto a un documento che non condivide) sarebbero 26 i dirigenti pronti a mettere in discussione le scelte recenti con cui di fatto si sono imposte le candidature per il Vibonese di Luigi Tassone e Raffele Mammoliti (rispettivamente consigliere regionale in carica e primo dei non eletti alle passate Regionali).

Insomma, niente da fare per Bruno Censore che dopo anni di egemonia assoluta nella Federazione provinciale si ritrova adesso alla porta. Una consapevolezza che, secondo i meglio informati, l’ex parlamentare di Serra San Bruno avrebbe maturato già da tempo, tanto che, spinto con un piede e mezzo ormai fuori dal Pd, avrebbe nelle ultime settimane cercato nuovi lidi in cui attraccare. In primis sulla sponda centrodestra, in orbita Udc e, in alternativa, ancora nel centrosinistra ma tra i renziani di Italia Viva, inconsistenti però in Calabria e, soprattutto, poco eccitati dall’idea di far salire a bordo l’ex parlamentare serrese. Ciononostante Bruno Censore non sembra affatto intenzionato a cedere così facilmente le chiavi della “casa” dem. Da qui, appunto ieri, il suo personalissimo “canto del cigno” che si è concretizzato in una mossa che agli occhi di tanti è apparsa come l'ultima espressione degna di nota di una carriera probabilmente prossima al termine, almeno tra le fila del Partito democratico: una lettera, molto aspra nei toni, con cui circa la metà dei segretari di circolo del Vibonese ha certificato di essere ancora al fianco di Censore, compreso Paolo Reitano alla guida dei democratici di Serra San Bruno. Ma è proprio la cittadina della Certosa che anche stavolta si ritrova ad essere scenario di primo piano per la definizione delle nuove geometrie del Pd vibonese. È qui infatti che si sta consumando il più classico dei “cesaricidi”, dove tra i tanti impegnati a infliggere i colpi dell’assassinio politico di Bruno Censore – mossi da interessi personali o da rancori per mancati riconoscimenti e compensi – spicca soprattutto il consigliere regionale Luigi Tassone, cresciuto politicamente sotto l’ala protettrice dello stesso ex deputato. Fu proprio Bruno Censore, com’è noto, a favorire la rapida scalata di Tassone, prima imponendone la candidatura alle Comunali del 2016 che gli assicurarono la fascia di primo cittadino di Serra San Bruno, poi proponendolo nella lista targata Pd alle Regionali del 2020 in surroga di se stesso. Fu, in quel caso, l’ex aspirante governatore Pippo Callipo a dettare il diktat dell’esclusione di Censore tra le liste a suo sostegno, un’imposizione che il Partito democratico adesso intende mantenere viva con un piglio, per diversi aspetti, abbastanza ipocrita. Il tutto si riduce al derby di paese all’ombra della Certosa di Serra San Bruno, con Tassone che non vuole più scendere dal cavallo su cui proprio Censore l’ha fatto salire e con quest’ultimo che con grande difficoltà sta tentando di disarcionare il primo.

Tutto molto triste, è il pensiero della base del partito. Una base in cui alcuni aspettano di riposizionarsi e restano in silenzio a seguire l’evolversi degli eventi in maniera da riuscire ad intuire quale sia la corrente che soffia più forte, mentre tanti altri sembrano volere gettare definitivamente la spugna, stanchi delle beghe di potere intestine ad un partito che vorrebbe ancora le esigenze del territorio subordinate a quelle delle carriere.

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