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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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FABRIZIA - Giuseppe Iennarella e Laura Mamone sono testimoni chiave del processo ‘Business Cars’che, nel novembre del 2011, ha messo alla sbarra diversi soggetti tra Catanzaro, Lamezia, Ardore, Soriano, San Costantino Calabro e Serra San Bruno. Le accuse sollevate nei loro confronti andavano dall’usura aggravata, all’abusiva intermediazione finanziaria, passando per l’estorsione. Da oggi, però, Giuseppe Iennarella ha deciso di avviare lo sciopero della fame e della sete.
Dodici condanne, a pene comprese tra 8 mesi e 7 anni, e tre assoluzioni. È questa la sentenza emessa dal giudice per le udienze preliminari di Catanzaro, Assunta Maiore, al termine del processo con rito abbreviato nei confronti dei presunti appartenenti della cosca di 'ndrangheta dell'area ionica del soveratese Sia-Procopio-Tripodi coinvolti nell'inchiesta “Show Down” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia.
A conclusione della requisitoria il pubblico ministero aveva chiesto 15 condanne a pene comprese tra i 3 ed i 14 anni di reclusione. A 6 anni di reclusione è stato condannato Vincenzo Alcaro, il brigadiere dei carabinieri in servizio al reparto operativo del Comando provinciale di Catanzaro, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa; 3 anni e 4 mesi a Bruno Procopio, Vincenzo Bertucci (5 anni e 8 mesi), Patrick Vitale (7 anni 6 mesi), Francesco Vitale e Giuseppina Mirarchi (1 anno), Pannia Salvatore (4 anni), Pietro Danieli (8 mesi), Angelo Procopio (4 anni e 8 mesi), Giuseppe Santo Procopio (6 anni e 8 mesi), Vincenzo Ranieri (6 mesi e 20 giorni), Vincenzo Todaro (1 anno e 4 mesi). Sono stati assolti Daniela Iozzo, Pietro Aversa detto “Mister” e Vincenzo Mirarchi. Per gli altri indagati nell'inchiesta “Show down” è in corso il processo davanti ai giudici del tribunale che riprenderà il 3 giugno. Nei confronti di altre tre persone, Maurizio Tripodi, Michele Lentini e Davide Sestito, si svolgerà il processo davanti alla Corte d'assise perché accusati dell'omicidio e occultamento di cadavere di Giuseppe Todaro.
L'operazione condotta dai carabinieri portò all'arresto di una quarantina di persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, rapine, sequestro di persona e traffico di droga. Le indagini hanno avuto inizio dopo la scomparsa, nel dicembre del 2009, di Giuseppe Todaro, vittima di lupara bianca.
Dovranno rispondere a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso, rapina, estorsione, usura, porto e detenzione di arma, intestazione fittizia di beni con l'aggravante della mafiosità. Si tratta di sette soggetti, cinque dei quali già detenuti nella casa circondariale di Palmi, ritenuti membri di spicco della cosca Bellocco di San Ferdinando. Le ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip del Tribunale di Reggio, sono state eseguite dai carabinieri della compagnia di Gioia Tauro. I sette soggetti, Giulio, Berto, Antonio, Domenico, Carmelo, Giuseppe Bellocco, il 40enne Giuseppe Cotroneo e la 66enne Aurora Spanò, sono finiti in manette dopo mesi di indagini coordinate dalla Dda reggina, intraprese nel 2012. Nell’ambito dello stesso filone d’inchiesta denominato “Tramonto”, che aveva portato all’esecuzione dei primi 5 fermi lo scorso 6 marzo, l’operazione portata a termine dall’Arma ha contribuito a tracciare il quadro delle attività criminose messe in atto da una delle ‘ndrine più influenti della piana, attiva soprattutto nel narcotraffico, nelle estorsioni e nel controllo capillare delle attività commerciali e imprenditoriali nella Piana di Gioia Tauro. Legati a doppio filo ai Pesce di Rosarno, i Bellocco sono alleati dei potenti clan dei Piromalli e dei Molè. Nell’ambito della stessa indagine, i militari hanno posto sotto sequestro un bar di San Ferdinando riconducibile alle disponibilità della cosca.
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