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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
I carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, guidati dal capitano Stefano Esposito Vangone, hanno tratto in arresto nella mattinata odierna Girolamo Macrì, 36 anni, di Soriano Calabro, coinvolto assieme ad altre persone nell'operazione 'Low Cost', scattata nel 2010, con la quale si è fatto luce su un presunto giro di estorsioni ed usura. Macrì, nell'ottobre scorso, era stato condannato dalla Corte di Appello di Catanzaro ad una pena di 3 anni ed 8 mesi. Ebbene, la Cassazione ha confermato la sentenza emessa in secondo grado ed il 36enne è stato, dunque, condotto in carcere. Stesso provvedimento è stato emesso nei confronti di Domenico Monardo, 42enne di Soriano Calabro, il quale invece dovrà scontare una pena di 6 anni e 8 mesi.
Una sentenza, quella arrivata oggi dalla Corte di Cassazione, che oltre a confermare le condanne a sfavore dei quattro imputati coinvolti nell’operazione antimafia “Domino”, ha anche di fatto certificato - per la prima volta in sede giudiziaria - l’esistenza della locale di Fabrizia, i cui esponenti sono individuabili nei referenti del clan ‘ndranghetistico Nesci-Montagnese.
L’operazione, scattata nel giugno 2007, aveva acceso i riflettori sulla locale costituita nel centro montano delle Serre vibonesi. Il verdetto ha, dunque, condannato a dodici anni di reclusione Bruno Nesci, 57 anni, e a nove anni il genero Antonio Montagnese, 35 anni, entrambi imputati del reato di associazione mafiosa. I due, residenti a Fabrizia, erano stati assolti in primo grado dal Tribunale di Vibo Valentia, ma in seguito, in appello il pm della Dda di Catanzaro, Giampaolo Boninsegna, era riuscito a convincere la Corte a ribaltare il verdetto, convalidato oggi anche dalla Suprema Corte.
La Cassazione, nell’ambito dello stesso filone processuale, ha confermato anche la condanna a dieci anni di reclusione ciascuno per Antonio Dessì e Domenico Audino, entrambi di Locri e ritenuti responsabili di un tentato omicidio proprio ai danni di Bruno Nesci, consumato nel 2004 a Fabrizia. Mandanti dell’esecuzione sarebbero stati i referenti del clan avversario dei Mamone.
Dessì ed Audino incassano quindi una nuova condanna dopo quella rimediata nel processo per l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno avvenuto a Locri il 16 ottobre del 2005.
A gennaio la prima sezione penale della Corte di Cassazione aveva annullato, con rinvio alla Corte d'assise d'appello di Catanzaro, la sentenza di condanna a 18 anni di carcere per Vito Gallè (a sinistra), inflitta in appello il 29 giugno 2009, in quanto ritenuto responsabile del duplice omicidio di Angelo Cravè (a destra), 42 anni, e Giuseppe Campese (al centro), 35, avvenuto a Serra San Bruno la mattina del 18 febbraio 2008. A scatenare l'accaduto furono alcuni dissapori legati ad una servitù di passaggio, tra le due proprietà confinanti. Lo scorso mese di marzo furono anche concessi i domiciliari per il 47enne. La Corte d'Assise d'Appello, però, si è espressa sulla vicenda, condannando Vito Gallè a 19 anni di reclusione.
La Quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato la decisione con la quale il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, il 6 dicembre 2012, aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l' ex assessore comunale, Bruno Zaffino (foto), emessa il 31 ottobre 2013 dal Giudice per le indagini preliminari della città dello Stretto nell’ambito dell’operazione ‘Saggezza’. Tutto da rifare, insomma, considerato che i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso presentato dal legale dell’ex assessore della città della Certosa, l’avvocato Giovanni Vecchio. Oltre a profili di legittimità ci sarebbero anche alcuni vizi di motivazione legati alla decisione del Tdl. Zaffino fu arrestato nel novembre dello scorso anno, in quanto coinvolto nell’operazione ‘Saggezza’, condotta dalla Dda di Reggio Calabria. Nei suoi confronti pesava l’accusa di violenza privata aggravata dal metodo mafioso. L’ ex assessore della giunta guidata dal sindaco Bruno Rosi avrebbe minacciato un rappresentante di un'azienda di Bari operante nella commercializzazione del legname, costringendolo con metodo mafioso a rinunciare alla vendita di 12mila pali di castagno per favorire invece l’azienda di Marcello Cirillo, 54enne di Fabrizia ritenuto dagli inquirenti vicino al boss ucciso Damiano Vallelunga. Il Tribunale del Riesame, poi, a dicembre ha rigettato il ricorso presentato dal suo legale di fiducia, Giovanni Vecchio, opponendosi quindi alla scarcerazione del consigliere comunale eletto con il Pdl. A febbraio, il Gip distrettuale di Reggio Calabria, Adriana Trapani, ha accolto l’istanza presentata dall' avvocato di Zaffino, rimettendo in libertà l’ex assessore. A questo punto, considerata la decisione della Cassazione, Zaffino dovrà presentarsi nuovamente davanti al Tribunale del Riesame che, a sua volta dovrà pronunciarsi tenendo conto dei paletti dei giudici della Suprema Corte. Il processo si svolgerà comunque e proseguirà l'iter previsto dalla legge. Zaffino rimane indagato con l'accusa di violenza privata aggravata dal metodo mafioso.
SERRA SAN BRUNO - Sono stati disposti gli arresti domiciliari per Vito Gallè, inizialmente ritenuto responsabile del duplice omicidio di Angelo Cravè, 42 anni e Giuseppe Campese, 35, avvenuto nel popoloso centro montano la mattina del 18 febbraio 2008. La Corte di Cassazione, in particolare, il 10 gennaio scorso ha annullato, con rinvio alla Corte d'assise d'appello di Catanzaro, la sentenza di condanna a 18 anni di carcere inflitta in appello il 29 giugno 2009. Secondo quanto siamo riusciti ad apprendere, i giudici della Cassazione avrebbero individuato tutta una serie di illogicità sia nella sentenza della Corte d’ Assise che in quella emessa dalla Corte d’ Assise d’ Appello. I giudici, dunque, hanno accolto il ricorso presentato dagli avvocati difensori di Gallè, Giancarlo Pittelli e Maurizio Albanese, che puntavano a mettere in luce la mancanza di motivazione nell'attribuzione di credibilità all'unico testimone oculare del fatto. Gli avvocati hanno inoltre rilevato la contraddittorietà tra la sentenza di condanna della Corte d'assise d'appello e la sentenza con cui il Gip di Vibo Valentia aveva condannato il padre di Vito Gallè, Salvatore Rocco, a 20 anni, poi ridotti a 12 in appello. Non solo: la Cassazione ha ritenuto contradditoria l'attribuzione della responsabilità del duplice omicidio sia al padre che al figlio, ed ha annullato la sentenza anche in merito al mancato riconoscimento da parte dei giudici della Corte d'assise d'appello della provocazione come attenuante del fatto di sangue, scaturito da controversie legate ad una servitù di passaggio e preceduto da "violente prevaricazioni e da gravi minacce - hanno eccepito i difensori - subite per lungo tempo dalla famiglia Gallè". Tutto da rifare, dunque, con la Cassazione che ha deciso di rinviare il processo alla Corte d’ Appello.
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