Il caso del blitz notturno di Casal Palocco del 28 maggio scorso, che ha impegnato ben 50 uomini della Digos, rappresenta il punto più basso mai raggiunto dalle Istituzioni italiane nella gestione di una controversia internazionale. Il fermo ed il successivo rimpatrio forzato della moglie del dissidente kazako Ablyazov, Alma Shalabayeva e della figlia di soli 6 anni, suonano come due condanne a morte strategicamente pianificate, premeditate e decise dal governo italiano. La madre e la piccola ora saranno usate dal dittatore Nazarbayev come ostaggi nella sua guerra personale contro Ablyazov. Potranno essere torturate fino allo sfinimento, rituale assai diffuso alla corte del dittatore kazako.
Si tratta di un ulteriore salto mortale al contrario verso la mortificazione totale dei diritti civili nel nostro paese. Si è calpestata la libertà e la sicurezza di due donne - una delle quali bambina, abbondantemente minorenne - per mantenere i rapporti, o meglio per accondiscendere alle pressioni, ai ricatti e alle strette di uno stato feudale, incurante delle normative internazionali, ricco di gas e petrolio. Per rendere l’idea, l’Eni partecipa al 20% nei diritti di sfruttamento dei giacimenti di gas kazaki. Nazarbayev aveva già fatto pressioni sull’Inghilterra, paese in cui Ablyazov ha ottenuto asilo come rifugiato politico, minacciando rappresaglie sugli interessi economici britannici in Kazakistan, ma il governo di Londra, contrariamente al nostro, non si è fatto minimamente intimidire.
Ora, è chiaro che la questione sia principalmente politica e che avrebbero dovuto scattare automaticamente le dimissioni di Alfano, che dovrebbe essere contestualmente denunciato alla Corte dell’Aia per violazione del Diritto internazionale, aggravata dalla minore età di una delle due donne consegnate al dittatore. Sembra che tutto si giocherà venerdì al Senato quando l’assise sarà chiamata ad esprimersi sulle dimissioni di Alfano. A quanto pare prevarrà ancora il calcolo squisitamente politico ed il ministro dell’Interno non si dimetterà, sarà salvato anzi dal voto dei suoi più “feroci” dirimpettai: gli ex avversarsi del Pd. Anche se pare che stia crescendo il numero dei “dissidenti” interni al Partito Democratico pronti a tagliare la testa di Alfano (nell’ultime ore ai renziani si sarebbero aggiunti anche i d’alemiani). Ed anche se si arrivasse alle dimissioni sarebbe comunque un risultato di paglia, figlio dell’ennesimo sporco compromesso: Alfano lascerebbe il vertice del Viminale, dimettendosi solo da ministro e non da vicepremier, continuando di fatto ad incarnare il ruolo di secondo del premier Letta.
Diciamoci quindi la verità: il paese è ostaggio di un governo debolissimo. Forgiato su “larghe intese” che finiscono per dimostrarsi “ristrettissimi limiti”. Alfano, se avesse un minimo senso della decenza, dovrebbe lasciare subito la poltrona occupata piuttosto che attaccarsi sugli specchi viscidi del “non sapevo”. Perché “non sapere”, quando si occupa un ruolo cosi importante, non è una giustificazione ma un’ aggravante.