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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
VIBO VALENTIA - Nonostante il regime di carcere duro, il presunto boss Leone Soriano ha trovato la forza di inveire contro magistrati e forze dell’ordine. Tra le righe, ma neanche tanto, durante la sua deposizione nell’aula bunker del tribunale di Vibo Valentia dove si sta svolgendo il processo al clan di cui sarebbe il capo indiscusso, ha lanciato avvertimenti e minacce. Un’abitudine che non ha perso nel corso degli anni. Collegato in videoconferenza dal carcere di Viterbo dove è sottoposto al 41bis, Soriano, nel corso di dichiarazioni spontanee, ha inveito contro gli artefici dell’operazione antimafia “Ragno”. Gli attacchi del boss hanno avuto come bersaglio, fra gli altri, l’allora pm della Dda di Catanzaro Giampaolo Boninsegna ed il comandante della Stazione dei carabinieri di Vibo, Nazzareno Lopreiato.
La Asec Mimosas è una squadra che milita nella serie B della Costa D'Avorio. È la squadra in cui giocava Lisikui Shakina, classe '89, prima di essere costretto a scappare. La sua è una famiglia benestante, Lisikui gioca a calcio e parla fluentemente quattro lingue, ma la sua vita cambia quando, nel 2002, nel suo Paese scoppia una cruenta guerra civile che, negli anni, si lascerà dietro una scia di migliaia di morti. Suo padre viene ucciso nel 2004, lui poco dopo viene catturato dai ribelli che lo tengono prigioniero in un campo di addestramento. È lì che incontra un suo vecchio amico, che nel frattempo ha fatto carriera militare, e grazie a lui riesce a scappare dal campo, chiuso nel cofano di un'automobile.
I carabinieri della Stazione di Vibo Valentia hanno arrestato Carmelo Lo Bianco, 81 anni, capo dell’omonimo clan operante nella città di Vibo Valentia. L'arresto è avvenuto in ottemperanza ad un ordine di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale di Catanzaro. Il cumulo di pene che Carmelo Lo Bianco, condotto nel carcere di Vibo, dovrà scontare è pari ad 11 anni e 4 mesi di reclusione.
Il 10 maggio 2012 la Cassazione l’aveva condannato a 5 anni e quattro mesi per i reati di usura ed estorsione, aggravate dal metodo mafioso, ai danni del fotografo vibonese Nello Ruello, poi divenuto testimone di giustizia. Un’altra condanna a 12 anni di carcere Carmelo Lo Bianco l’aveva rimediata per associazione mafiosa nel processo nato dall’operazione «Nuova Alba», mentre nell’ambito dell’operazione denominata «The Goodfellas» dopo la condanna a 4 anni in Appello, sempre per associazione mafiosa, manca solo il verdetto della Cassazione.
ARENA – «Non vogliamo fare inutili dietrologie. Né vogliamo che questo Consiglio si trasformi in un tribunale dell’Inquisizione. Se ci sono stati e ci saranno responsabili saranno gli organi preposti a stabilirlo. Noi, la mia amministrazione intendo, abbiamo davanti soltanto due doveri: dal punto di vista politico, è opportuno fare chiarezza su una questione che avrà inevitabilmente pesanti ripercussioni. Dall’altro lato, dal punto di vista gestionale e quindi amministrativo, abbiamo l’obbligo di affrontare la situazione e la triste realtà. Realtà inoppugnabile: il lungo iter giudiziario si è concluso con una condanna pesante. Con la condanna al pagamento di oltre un miliardo di euro. 1.097.062 euro, per l’esattezza».
Nel corso di un affollato consiglio comunale, convocato in forma straordinaria e aperta, il sindaco Antonino Schinella ha inteso rendere edotta la cittadinanza in merito ad una questione che per lunghi anni ha tenuto con il fiato sospeso cittadini e amministratori di Arena: la vertenza Lorusso. Questione che ha avuto epilogo soltanto nei giorni scorsi con la decisione della Cassazione che ha rigettato il ricorso presentato dal Comune.
«La storia parte da lontano e ha per oggetto i lavori di costruzione del Carcere mandamentale. I lavori - ha riferito il primo cittadino suffragando le sue tesi con carte e documenti alla mano - furono consegnati alla ditta nel febbraio dell’84. Dopo tre sospensioni nel breve arco temporale di un anno e mezzo, nell’estate dell’85 l’impresa subisce un attentato dinamitardo. E i lavori i fermano. Arrivano i solleciti, si susseguono due ordini di servizio, ma l’impresa riprende i lavori soltanto ad aprile del 1987. Ma sette mesi dopo si ferma di nuovo. Il motivo? Si è resa necessaria una perizia suppletiva e di variante, la cui redazione tra mancati recepimenti e pareri vari ha subito un iter abbastanza lungo. Si pensi, infatti, che soltanto nel 1994, sette anni dopo, la Giunta comunale ha approvato la perizia, dando così avvio ai lavori. Da questi ritardi, dunque, scaturisce il contenzioso. Per l’impresa la responsabilità sono attribuibili all’amministrazione appaltante e all’incapacità di quest’ultima di approvare una perizia. L’arbitrato ha successivamente accolto le richieste di Lorusso, condannando il Comune al pagamento di oltre un miliardo di euro. E dopo le decisioni della Corte di Appello e della Cassazione che hanno rigettato i ricorso presentati a suo tempo dal Comune, l’iter processuale si è concluso con una condanna. E adesso la situazione non è delle migliori. Acuita dal fatto che ci troviamo a fronteggiare una non facile situazione. Si pensi - ha aggiunto il sindaco - che quotidianamente si recano in Comune decine di creditori e diversi professionisti che esibiscono laute parcelle per prestazioni che in alcuni casi risalgono anche a decine di anni addietro. Si pensi, inoltre, che siamo costretti a pagare rate di mutui per un importo che supera i 200mila annui, di cui 70mila assorbite per la chiusura delle controversie legate agli espropri Lombardo e Scalamogna. E, come se tutto ciò non bastasse, aggiungo che a dicembre arriverà la sentenza, un'altra sentenza, sempre inerente un esproprio, questa volta del terreno dove è ubicata la scuola elementare, e le notizie forniteci dal nostro avvocato non ci lasciano ben sperare. Dunque, è evidente che la situazione che abbiamo ereditato è pesantissima. C’è chi in questi giorni ci sta consigliando il dissesto. Forse è l’unica via di uscita, ma sarebbe una iattura per la nostra gente. Significherebbe l’aumento, fino al massimo consentito, dei tributi e delle tariffe per cinque anni. E in un periodo di crisi generale, non possiamo mettere le mani nella tasche dei nostri cittadini. Perciò, stiamo lavorando e lavoreremo con un unico obiettivo: evitare il dissesto. Ci siamo rivolti ai ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture, ai quali abbiamo chiesto di assumersi i maggiori oneri derivanti dalla costruzione del Carcere anche nello spirito dell'articolo 19 della legge n. 119 del 1981, che prevedeva che i maggiori oneri potessero essere saldati attingendo ad un mutuo a totale carico dello Stato. In questa direzione, il deputato Laratta presenterà presto un’interrogazione, portando il nostro caso all’attenzione del Parlamento. Inoltre, siamo in trattativa con il creditore: se riuscissimo ad ottenere una dilazione, a conti fatti saremmo in grado di onorare il debito. E questa - ha aggiunto il sindaco rispondendo alla domanda del consigliere di opposizione Giamba - sarebbe la migliore condizione: ci permetterebbe da un lato di evitare il dissesto e dall’altro di affrontare l’onere senza neppure aumentare la pressione fiscale. Basterà razionalizzare la spesa, sulla falsariga di quello che abbiamo fatto finora, se è vero come è vero che ad oggi siamo riusciti a diminuire sensibilmente alcuni costi: penso, solo per fare qualche esempio, alla gestione e al trasporto dei rifiuti, al riscaldamento dello strutture pubbliche e alla manutenzione dei mezzi comunali». Infine, rispondendo ad una domanda dell’altro consigliere di opposizione Brogna, il primo cittadino ha chiosato così: «Lei mi chiede di chi sono le responsabilità? Leggendo le carte, emerge che il loro arbitrale ha addossato le responsabilità alle amministrazioni che si sono susseguite dal 1987 al 1994 e in parte anche ai progettisti e alla carenze progettuali. Aggiungo che reputo un errore il fatto che la precedente amministrazione non abbia nominato un arbitro, e quindi un difensore del Comune, decidendo di non giocarsi la partita, sebbene questo ultimo aspetto non rappresenti la prova che affrontando il giudizio in modo diverso il Comune ne sarebbe uscito indenne. Comunque, ribadisco che saranno gli organi proposti a stabilire chi sono i responsabili. Posso dirle che alla Procura della Corte dei conti è stato già trasmesso l’intero fascicolo».
Dopo la chiosa del sindaco, gli interventi del pubblico, tra cui quello dell’ingegnere Michele Gerace, assieme al collega Raffaele Schinella progettista e direttore dei lavori del Carcere, e dell’ex sindaco Rosario Pugliese.
Sono in corso da stamattina 30 arresti tra Calabria, Piemonte e Toscana, tutti mirati a sgominare le cosche operanti nelle Preserre vibonesi con base ad Ariola di Gerocarne. L'operazione, coordinata dalla Dda catanzarese ed eseguita dagli agenti della Squadra Mobile del capoluogo, dovrebbe fare luce su molti delitti - tra cui anche sequestri di persona - avvenuti negli ultimi vent'anni proprio nella zona delle Preserre. I 30 soggetti a cui è indirizzato il provvedimento di custodia cautelare in carcere sono accusati, tra le altre cose, di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni e alla turbativa di appalti pubblici. Tra gli arrestati, infatti, c'è anche Michele Altamura, 42 anni, ex sindaco di Gerocarne, accusato di associazione mafiosa. L'intera operazione della Dda fa luce, in sostanza, sulla faida che ha insanguinato le Preserre e l'Alto Mesima a partire dai primi anni '90 e fino a pochi anni fa.
Fornivano ai boss della 'ndrangheta falsi certificati medici per farli uscire dal carcere. Vi sarebbero anche alcuni medici, infatti, tra le persone coinvolte nell'operazione che è in corso da stamattina e che vede impegnati i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria nell'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di sei persone accusate di concorso in falsa attestazione in atti destinati all'autorità giudiziaria e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, aggravati dalle finalità mafiose. Al centro dell'indagine, denominata ''Reale-Ippocrate'', ci sono i rapporti tra la potente cosca Pelle di San Luca e alcuni medici dell'Azienda sanitaria di Locri e di una casa di cura privata calabrese. Tali rapporti sarebbero appunto finalizzati ad evitare il carcere agli affiliati alla 'ndrina.
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