Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
FABRIZIA - Si chiamava Nathan Cirillo ed era di origini calabresi il soldato italocanadese morto nel corso di una sparatoria nel complesso governativo di Parliament Hill, ad Ottawa, in Canada. Il nonno del giovane 24enne, padre di un bambino, emigrò tanti anni fa da Fabrizia, piccolo centro del Vibonese, riuscendo ad avviare un'attività commerciale.
Il primo di maggio del 1569 Carlo d’Asburgo, Arciduca d’Austria e fratello del nuovo Imperatore Massimiliano, è in visita a Firenze, dove viene sontuosamente accolto dal duca Cosimo e dal di lui figlio Francesco, il quale, solo quattro anni prima, aveva sposato Giovanna d’Austria, sorella di Carlo. In onore dell’Arciduca viene rappresentata la commedia la Vedova, opera del commediografo e letterato di corte Gian Battista Cini. Personaggi principali della commedia sono, tra gli altri, un soldato siciliano (Fiaccavento), un signore veneziano (Messer Marino) e un gentiluomo napoletano (Cola Francisco Vacantiello). A un certo punto dell’intreccio, Messer Marino comunica a Fiaccavento l’intenzione di dare sua figlia in sposa a Cola Francisco, affermando che quest’ultimo aveva assicurato di far arrivare dalla Calabria, sua terra d’origine, tutte le carte utili a comprovare il suo rango. All’udire che Cola Francisco è di origine calabrese, tuttavia, Fiaccavento mette in guardia Messer Marino, sbottando:
Dunque, iddu è Calabrisi? Uh santu Diavulu
Di Paliermu! Ah, ah, ah! Et vui buliti
Donar mugghieri, ah, ah! cum reverentia
A nu strunzu d’asin calavrisi? Et nun
Sapiti ancora lu muttu?
[..]
Et nun sapiti chi nostru Signuri
Deu, quandu criau lu Mundu, dissi
A chisti disgratiati: “Surgite,
Calabrorum de stercore asinorum”?
Et chi si dici de lu Calavrisi:
“Trista la casa chi ci sta lu misi,
Et si ci sta l’annu,
Ci duna lu malannu”?
Quando, nel corso della vicenda, Fiaccavento e Cola Francisco si trovano insieme sulla scena è un profluvio di insulti, con il soldato siciliano che insiste sulle origini calabresi di Cola Francisco come speciale motivo di biasimo. «Vattinni a Riggiu», incalza Fiaccavento, «non senti li Turchi comu si sunnu accunzati? chi vonnu veniri un atra vota a saturari megghiu li vostre fimmene». E se Cola Francisco prova a replicare con un «Siciliano pisciaza di Franzisi» e altre ingiurie, Fiaccavento ribatte pronto con «Bastardu di li Turchi» e «Iuda imprennasumeri».
L’inclinazione al tradimento è uno dei caratteri che più comunemente sono stati attribuiti ai calabresi, e nel Sedicesimo secolo l’immagine del calabrese traditore, spesso rinvigorita dal sospetto di familiarità di sangue col Turco, è profondamente radicata e fermamente consolidata. Non era forse stato un vecchio bombardiere calabrese colui che, passando tra le file del nemico, aveva suggerito a Saladino il modo di prendere la città di Strigonia, nel cuore dell’Ungheria, nel 1543? – Questo, almeno, è quanto riferisce lo storiografo di Francia, Gilbert Saulnier du Verdier. Nel 1569, il calabrese più famoso d’Europa è, senza ombra di dubbio, il terribile “Re” d’Algeri, il rinnegato Occhialì (o Lucalì, Uccialì, Ulucci Alì, Ulug Alì, Uluds Alì, e altri ancora), ovvero Gian Dionigi Galeni da Le Castella, rapito dai turchi nel 1536 e venduto come schiavo a Istanbul, dove si era convertito all’Islam per non incappare nella pena capitale comminata agli schiavi che si macchiavano di omicidio. Occhialì aveva percorso tutto il cursus honorum all’interno della marina militare ottomana sotto la guida del famoso Dragut, al quale era poi succeduto nella carica di Vicerè d’Algeri e Signore di Tripoli. E ora eccolo, il calabrese che non aveva avuto timore di rinnegare la propria fede per aver salva la vita, intento a versare il sangue dei suoi fratelli e a razziare le loro terre, a commerciare in cristiani e a costruire moschee in onore del Dio degli infedeli.
D’altra parte, umanisti come Niccolò Perotti o Pietro Crinito (Pietro Baldi Del Riccio), ghiotti di curiosità filologiche e favolose, non avevano incontrato difficoltà a rintracciare, nei vecchi testi degli storici, le prove dell’iniquità connaturata al carattere calabrese. E se Perotti doveva metterci del suo per interpretare i Bilingues bruttates come i Bruzi voltagabbana (quando il grammatico Festo –rimandando a Ennio– altro non intendeva che i Bruzi bilingue, in quanto essi parlavano sia il Greco che l’Osco), per Crinito è sufficiente richiamare le testimonianze di Diodoro Siculo, Tito Livio, Strabone e Aulo Gellio per corroborare, su un piano apertamente accademico, il pregiudizio “anticalabrese”. Per Diodoro Siculo e Strabone, i Bruzi erano disperati in fuga dal territorio dei Lucani che si erano raccolti nell’impervio, estremo sud della penisola, e il cui stesso nome, Brettioi, tradiva la loro origine e indole: quella di essere schiavi. Nella storia di Roma immaginata da Tito Livio, i Bruzi sono il popolo che non perde tempo a schierarsi dalla parte di Annibale, quando questi attraversa l’Italia in groppa ai suoi elefanti. Traditori di natura, e piuttosto tardi di comprendonio, si fanno ingannare da Quinto Fabio Massimo, aiutandolo a prendere Taranto solo perché l’ufficiale della guarnigione bruzia lasciata da Annibale a guardia della città s’è infatuato d’una donna. Alla fine della guerra, agli ormai sottomessi Bruzi i Romani vincitori negano la cittadinanza e li interdicono dal servizio militare. Piuttosto, racconta Aulo Gellio, essi sono destinati al servizio più infamante: quello di flagellatori al servizio dei magistrati provinciali. Su questi elementi si costruisce, a partire dal Medioevo e poi nel Rinascimento, con Perotti in prima linea, la convinzione che vuole i Calabresi torturatori e flagellatori di Gesù Cristo. I Calabresi, anzi, sono tutt’intorno al Messia durante la passione: calabresi i fustigatori; calabrese –di Cosenza, capitale del Bruzio– Pilato; calabrese, addirittura, Giuda Iscariota. I calabresi, insomma, contendono agli ebrei il non invidiabile titolo di carnefici di Nostro Signore, quando non sono essi stessi additati malevolmente come giudei.
Di queste accuse e delle repliche che seguono rende conto, mirabilmente, Augusto Placanica nella sua Storia della Calabria, mettendo in luce, oltreché la durezza del pregiudizio anticalabrese, la mitizzazione della Calabria operata, in contrapposizione a quel pregiudizio, dagli stessi intellettuali calabresi. Uomini di solida dottrina come Barrio, Telesio, Campanella, Fiore da Cropani e, più tardi, Posterario, si impegnano attivamente a controbattere alle accuse e riabilitare l’immagine del calabrese. Essi, tuttavia, si trovano nella difficile situazione di rivolgersi a interlocutori che della Calabria e dei calabresi quasi mai avevano fatto esperienza –e forse mai l’avrebbero fatta– e già cominciavano a infatuarsi dell’idea del calabrese come “selvaggio d’Europa”. E in questa mitizzazione ad usum externorum si rincorrono e si perpetuano, in Telesio come in Campanella, i motivi della fertilità del suolo calabrese, della bellezza del paesaggio, dell’antica sapienza pitagorica ancora riverberante nel più umile dei suoi abitanti. L’opera di Gabriele Barrio da Francica, De Antiquitate et situ Calabriae (1571), alla quale avrebbero attinto innumerevoli intellettuali e per la redazione della quale l’autore aveva ottenuto l’appoggio di un altro calabrese illustre, il cardinal Guglielmo Sirleto, bibliotecario e custode della Biblioteca Vaticana, è il primo e più sistematico –se non il più efficace e rigoroso– tentativo di autorappresentazione della Calabria e dei calabresi di fronte ai topoi della letteratura umanistica. L’obiettivo dichiarato di Barrio è quello di «riportare in luce una verità che dai detrattori viene taciuta o viene ignorata», ed è un obiettivo che viene perseguito, in primo luogo, su un piano accademico. Le pagine dell’opera di Barrio, grondanti di squisita e raffinatissima erudizione, prima ancora che col pregiudizio mentale e culturale, cercano un confronto con la tradizione storico-letteraria sedimentatasi nel corso dei secoli. La Calabria di Barrio non è meno letteraria di quella di Perotti e Crinito, ed è costruita coi medesimi arnesi da quelli utilizzati: il ricorso a un passato remoto, quando non leggendario, e l’elevazione di suggestioni al rango di prove e documenti.
Questa letterarietà costituisce uno degli elementi portanti che caratterizza l’autorappresentazione della Calabria sino ai giorni nostri, così come l’idea del contrasto tra la natura –meravigliosa e incontaminata– e l’iniquità dei feudatari e dei padroni. Nell’opera di Barrio è già evidente quella tensione tra la bontà della natura e la malvagità dell’uomo che avrebbe condizionato pesantemente l’autorappresentazione dei calabresi nei secoli a venire, e avrebbe determinato, nella grande maggioranza dei casi, lo slittamento verso una dimensione mitico-letteraria, necessariamente ottenuta tacendo quanto si sarebbe scelto di non vedere. È esattamente a questa tensione e a questo slittamento che Corrado Alvaro si riferisce quando afferma che i calabresi «mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia». La stessa tensione e lo stesso slittamento che si ripresentano puntualmente, ogni volta che un spot pubblicitario, un film o un libro ci costringono ad autorappresentarci.
Nell'immagine: Anonimo, Uomo in costume calabrese (PInacoteca del Museo Civico di Foggia)
Ben 30mila lavoratori calabresi in mobilità, si riverseranno domani nelle piazze di Cosenza, Catanzaro e Reggio. «Stanchi di aspettare», operai, impiegati, operatori dei call center e dei servizi socio-sanitari, si ritroveranno quindi assieme in sit-in, che avranno luogo nelle tre maggiori città della regione.
La richiesta è chiaramente quella di una «soluzione definitiva a questa vertenza che coinvolge tutti». «Per troppi anni – si legge nella nota dei lavoratori e delle lavoratrici in deroga di Reggio Calabria – abbiamo aspettato una risposta positiva, per troppi anni i responsabili e i politici di turno ci hanno preso in giro promettendo un ricollocamento lavorativo, per troppi anni siamo andati a votare in elezioni amministrative, regionali e politiche, sperando in una soluzione. Per troppi anni –prosegue la nota – abbiamo visto colleghi sfrattati come bestie dalla loro umile ma dignitosa casa per trovare rifugio da parenti e amici, mentre i nostri familiari ci chiedevano quando ci avrebbero pagato, se ci avrebbero ridato un lavoro o come avremmo fatto per la spesa e per i libri dei bambini».
Interrogativi resi ancora più pesanti da una crisi ormai insostenibile e che avranno destinatari specifici: i politici regionali e nazionali che, fanno sapere ancora gli interessati, «dovranno discutere sulle nostre richieste, che riguardano il pagamento delle spettanze cui di solito viene sottratto quasi un quarto di Irpef e sono ferme al 2013, il proseguimento della mobilità in deroga per tutti i lavoratori in attesa di una nuova ricollocazione lavorativa e, per l'appunto – hanno concluso – un lavoro».
Raccontare l’Italia in un solo giorno è impossibile, a meno che non ti chiami Gabriele Salvatores. Una delle firme più grandi del cinema italiano, che ha regalato al pubblico Mediterraneo, Marrakech Express, Amnèsia, Puerto Escondido, Nirvana (senza cadere nella trappola della banale lista della spesa), a partire da oggi presenterà in alcune sale cinematografiche – per la Calabria ci sarà il cinema Modernissimo di Cosenza – l’ultimo lavoro, “Italy in a day”, il primo film girato interamente dagli italiani, che il 26 ottobre del 2013 hanno voluto regalare al mondo un pezzo della loro vita. Il portale dedicato al caricamento dei video, dell’oramai storico 26 ottobre, ha raccolto 44mila filmati, per un totale di 2200 ore di girato. I video scelti dal regista sono stati 627. Tutto questo per realizzare il primo film social italiano della storia. Salvatores, per la realizzazione dello stesso, si è basato su un’idea di Ridley Scott (coproduttore di ”Italy in day”) che in America aveva già realizzato “Life in a Day” nel 2010. Tra i calabresi scelti da Salvatores compaiono anche 6 giovani cosentini, studenti del Liceo Fermi. «Il ritratto dell'Italia che ne viene fuori è più ottimista di quello che mi immaginavo» ha detto Salvatores dopo aver lavorato al film collettivo. Quella di stasera è l’unica data prevista per il cinema. Sabato 27 settembre, il film sarà trasmesso in prima serata su Rai3.
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"Com'e' noto, la storia viene scritta dai vincitori. E senza alcuna forma di nostalgia, va registrato che esiste una storia sconosciuta, a volte negata, altre ancora proibita. Appunto per questo il recupero dell'identità diventa un dovere civile per comprendere quello che e' stato per costruire con consapevolezza il futuro". Con queste parole l'Assessore regionale alla Cultura Mario Caligiuri è intervenuto nei giorni scorsi a Locri al Palazzo di Città dove c'è stata la cerimonia di consegna del busto bronzeo di Ferdinando II di Borbone da parte del sindaco di Locri Giovanni Calabrese al sindaco di Mongiana Bruno Iorfida. Realizzata nelle fabbriche siderurgiche di Mongiana nella prima metà dell'Ottocento, l'opera, rinveniente da Gerace, è stata casualmente ritrovata nel 2005 presso i magazzini del Comune di Locri e poi, dopo essere stata restaurata, è stata collocata nel Palazzo Municipale. Oggi, il busto verrà esposto per sei mesi presso il Museo delle Reali ferriere borboniche di Mongiana, inaugurato nell'ottobre scorso dopo 38 anni di lavori. Il sindaco Giovanni Calabrese ha dichiarato che "le amministrazioni locali calabresi collaborano nel segno della cultura, condividendo e valorizzando il comune patrimonio storico e civile", mentre il Sindaco Bruno Iorfida ha fatto presente che negli ultimi mesi è crescente il numero dei visitatori del Museo di Mongiana. L'assessore Caligiuri nei mesi scorsi ha invitato le scuole calabresi a effettuare viaggi di istruzione nella regione, cominciando col proporre l'itinerario produttivo della filiera del ferro nelle Serre, dove, oltre a Mongiana, ci sono le testimonianze di Stilo, Pazzano e Bivongi, oltre alla presenza di musei significativi (come quello dei marmi di Soriano e quello della Certosa di Serra San Bruno) e di beni culturali di valore (tra i tanti, la Cattolica di Stilo e San Giovanni Theristis a Bivongi).
Queste, invece, le parole del primo cittadino di Mongiana, Bruno Iorfida: "E' stato un giorno importantissimo per la nostra comunità, visto che un altro pezzo di storia torna a Mongiana dopo più di un secolo e mezzo, e questo è il frutto della collaborazione fattiva tra il comune di Locri e quello di Mongiana, due realtà diverse, ma unite dall'amore per la cultura e la promozione di quanto di buono c'è in Calabria, dimostrando che la cultura non ha limiti territoriali. Sono sicuro che con questo reperto attiri tanti visitatori".
Oggi pomeriggio dalle ore 15.30 apre i battenti a Mongiana l’associazione culturale MòMò. Il sodalizio, nato su impulso di un gruppo di giovani del luogo, intende promuovere attività ed iniziative volte alla tutela ed allo sviluppo sostenibile del territorio e dell'ambiente, diffondere il senso e lo sviluppo del turismo responsabile, della valorizzazione della memoria storica dei luoghi e del senso del lavoro.
MòMò nasce, dunque, dal progetto di un gruppo di giovani con il fine ultimo di mettere in atto azioni di promozione turistico-territoriale e socio-culturale. Ha sede in Via Roma 2, in “Villa Trozzo-Scrivo”, a Mongiana, piccolo borgo montano del vibonese, fortemente legato alla Storia del Regno delle Due Sicilie, in quanto, nel 1771 vennero impiantate le “Reali ferriere ed Officine di Mongiana”o “Villaggio Siderurgico di Mongiana” voluto dal Re Ferdinando.
«MoMò – hanno fatto sapere i fondatori – nasce per essere sede ospitale per artisti Calabresi e non solo, laboratorio e luogo di incontro dove dialogo e confronto diventino linfa di crescita individuale e collettiva, soprattutto per tutti coloro che credono nel lavoro, nella cooperazione e nella ripresa socio-economica della nostra terra. MoMò vuole essere espressione sana della Calabria e dei Calabresi virtuosi, di chi è convinto che il Sud deve rialzarsi, riappropriarsi del Bello, di chi vuole far conoscere ai tanti la vera natura della Calabria e del Sud, fatta sopratutto di gente onesta, umile, laboriosa e ardita».
Eletto presidente del sodalizio è stato Pasquale Raffaele Demasi, coadiuvato dal vice presidente Maria Rosa Primerano e dal tesoriere Giovanna Mammome. Altri soci fondatori sono Bruno Platì, Domenico Angilletta, Pasquale Raffaele Demasi, Francesco Angilletta, Giovanna Mammone, Giuseppe Carè, Maria Rosa Primerano, Lucia Primerano, Luigi Vallelonga, Manuela Montagnese, Marco Rullo e Salvatore Rullo.
L'inaugurazione si terrà oggi pomeriggio, martedì 12 agosto dalle ore 15.30, in Via Roma n.2 presso Villa Trozzo-Scrivo. Durante la giornata si terrà una mostra fotografica di Bruno Arena, giovane artista calabrese; la presentazione di un libro “Cambiare il Sud per cambiare l'Italia” di Francesco Lo Giudice ricercatore dell'Università di Cosenza, e si concluderà con un “aperitivo sociale” con assaggi di prodotti tipici locali.
Il Meeting Internazionale del Tamburello rinnova il tradizionale appuntamento. È cominciata oggi a Roma (presso il CIP Alessandrino in via delle Ciliegie 42) la due giorni di incontri culturali dedicati ai tamburi a cornice.
A partire dal 2008 gli attivisti della SITAC (Società Italiana Tamburi a Cornice) si sono fortemente impegnati nella promozione e diffusione di uno strumento che nella sua semplicità strutturale racchiude un complesso quanto vasto mondo si suoni e ritmi. Infatti, a questo singolare evento, sarà possibile assistere a seminari e concerti durante i quali verranno eseguite ritmiche e tecniche che riguardano sia la tradizione dell’Italia meridionale sia la tradizione del Medioriente. Nelle precedenti edizioni, oltre alle dimostrazioni delle differenti tecniche di suono sviluppatesi in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, gli attivisti della SITAC si sono avvicinati ad altre culture organizzando interessanti seminari sul Duff iraniano, il Pandeiro brasiliano, il Riq e il Mazhar egiziani.
Il Meeting del Tamburello, come si può leggere sul sito ufficiale, è «un momento in cui, professionisti, amatori, costruttori e appassionati di questa (millenaria) tradizione possono incontrarsi e condividere le loro conoscenze o semplicemente la loro passione per la musica popolare».
E tanti sono anche i calabresi riversatisi nella Capitale in occasione del Meeting Internazionale del Tamburello, a rappresentanza di una regione che da sempre dà il proprio contributo affinché la tradizione non rimanga relegata nella memoria di pochi.
Tra i protagonisti del Meeting Vincenzo Piazzetta, costruttore di lire calabresi e zampogne, che con grande passione conduce la sua attività laboratoriale a Lamezia Terme e Giovanni Papandrea di San Giovanni di Gerace, cantastorie e costruttore di strumenti musicali, attento agli antichi metodi di lavorazione.
A tenere alto il nome della Calabria nella Capitale il percussionista cosentino Enrico Gallo, attivista nonché presidente della SITAC, che da otto anni è parte integrante dell’organizzazione del Meeting Internazionale del Tamburello. Enrico Gallo terrà tra l’altro un seminario dal nome “Poliritmia per tamburi a cornice”. Come spiega lo stesso Gallo «l’obiettivo di questo seminario è di sviluppare una maggiore consapevolezza ritmica attraverso esercizi pratici che migliorino le abilità percettive di ciascuno. La capacità di diversificare il fraseggio ritmico è un elemento fondamentale per ogni musicista ed è forse il vettore più potente attraverso il quale si veicola la comunicazione musicale».
Al seguente link http://www.tamburellomeeting.com/?page_id=6 è possibile consultare il programma dell’ottava edizione.
«Una storia sporca sotto ogni punto di vista - così recita in apertura l’articolo sul bacino idrico dell'Alaco, pubblicato oggi su tuttogreen.it - uno scandalo di cui nessuno parla». Dunque, l’annosa questione del invaso sito in localita Lacina, una piaga ancora aperta per migliaia di calabresi, “conquista” anche la nota platea del portale internet “Tutto Green – guida pratica alla Green Economy”. Il sito, uno dei più importanti dell’intero scenario nazionale, è da sempre sensibile alle questioni ambientaliste e, più in generale, a tutte quelle tematiche utili a migliorare l'impronta ecologista della nostra vita per risparmiare contestualmente salute, soldi ed energia. Un importante punto di riferimento del mondo ecologista, quindi, che riporta numerose guide pratiche per una vita a basso impatto ambientale e che non si esenta, con spiccata sensibilità, di preoccuparsi anche delle questioni più "oscure", intese come quelle vicende, sparse per tutto il mondo, che mettono a repentaglio il nostro ecosistema ma anche e soprattutto la salute dell’uomo.
«Una storia di cui nessuno ne parla», così Erika Facciola, collaboratrice di Tutto Green, etichetta quindi la storia di un lago che ancora oggi – nonostante sia stato posto sotto sequestro quasi due anni fa, nel maggio 2012 – continua ad erogare acqua nelle case di 400mila calabresi stanziati in 88 comuni ubicati, in particolar modo, a ridosso della fascia geografica centrale della nostra regione, fra le province di Vibo, Catanzaro e Reggio.
Unica imprecisione, a chiusura dell’articolo, quando la Facciola asserisce: «È storia recente l’apertura di un’interrogazione parlamentare per far fronte ad un’emergenza divenuta insostenibile», ma solo ed esclusivamente perché le interrogazioni presentate fino ad ora in Parlamento sulla questione Alaco sono, piuttosto, addirittura quattro.
Di seguito il link per leggere tutto l’articolo pubblicato oggi su www.tuttogreen.it
http://www.tuttogreen.it/acqua-pubblica-inquinamento-idrico-privatizzazione-acqua/
Un PC, un microfono acquistato su e-bay e un anti pop in filo di nylon. Salvatore Zaffino (rapper emergente, in arte Toni) e Alessandro Minichini (Dj e producer) - rispettivamente di Spadola e Serra - hanno cominciato a fare musica con pochissimi strumenti a disposizione. Da una parte la voglia di gridare il proprio pensiero, dall'altra la passione per la musica hip-hop e il gioco è fatto! Arriva così la prima registrazione: "Peace&Love mixtape-Calabrian Flow", autoprodotto e pubblicato interamente in dialetto calabrese il 6 giugno 2013. Un percorso musicale abbastanza insolito, considerando che da circa dieci anni, gran parte dei gruppi emergenti calabresi hanno intrapreso la via della musica popolare (folk).
Salvatore e Alessandro hanno deciso invece di avvicinarsi al rap e all'hip-hop, in particolare il primo ha cominciato a scrivere testi di denuncia in rima, criticando vari aspetti della società odierna, mentre Alessandro fin da subito si è contraddistinto per le sua capacità in console da sopraffine Dj e come "aspirante" produttore. Come i Djs e gli MCs del Bronx, i due giovanissimi (Dj e Maestro di Cerimonie - classe '96) non si sono lasciati intimorire dalla mano affilata della censura, decidendo da subito di cantare contro le ingiustizie sociali e facendolo in calabrese, quasi orgogliosi di farsi portavoce di una terra che non trova più le parole per esprimere il suo forte malessere.
Nei testi di Salvatore Zaffino è facile intravedere una maturità precoce, sensibile a tutto ciò che crea paradossi nel sociale... l'orgoglio di essere calabresi, ricchi di talento e pronti a combattere l'ignavia, che purtroppo la maggior parte della gente inconsciamente subisce, speranzosa del fatto che, arrivati a questo punto, le cose possano e debbano cambiare in modo naturale. Ma non si può più restare immobili di fronte al taglio incondizionato alla Sanità, di fronte a scelte politiche lesive del diritto alla vita.
«Mi distingu duvi vaju pichhì io su calabrisi/e chija chi vivimu ccà non è na vita easy». In "Calabria state of mind" Toni sottolinea le difficoltà di vivere nella nostra regione, sotto la guida di politici preoccupati solo del loro stipendio, "minacciando" di tagliarsi la gola piuttosto che bere l'acqua dell'invaso dell'Alaco. Oltre alle forti e mature dosi di critica, ciò che colpisce nei testi di Toni è l'atteggiamento per niente vittimistico di un ragazzo che non dice mai "andate via da questa terra" ma sostiene invece il fatto che bisogna battersi contro le ingiustizie. In "Calabria state of mind" l'hip-hop per Toni è uno stile di vita attraverso il quale può dire la sua, non una divisa artistica per fare soldi... e con tanta bravura alla fine ripiega chiudendo la strofa a favore, quanto meno, di uno stipendio per una vita dignitosa. Combattere, per dare un senso alla propria vita, per evitare il pensiero di un caro costretto oltreoceano, per pensare con la propria testa, per non chiedere aiuto solo a Dio.
Da qualche mese, a vivere questa esperienza musicale c'è anche Salvatore Tucci (in arte Tulvio, di Serra San Bruno), altro rapper emergente classe '96, entrato quasi di prepotenza nel gruppo, quando, in compagnia di Toni e Alessandro, dopo aver bevuto un bicchiere di troppo, cominciava una sua performance rap. Toni, Alessandro e Tulvio, che parafrasando JAx non sono Nessuno ma rappresentano «tutti quei Nessuno che ci stanno intorno, persi in una routine uguale giorno dopo giorno, sconvolti sul limite estremo, per tutti i Polifemo, che prima o poi accecheremo».
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