In Campania, ci dicono i giornali a fine 2013, «rintracciati Cloroformio e metalli pesanti nelle falde acquifere di Caivano» in piena Terra dei Fuochi. E come per magia, a distanza di venti anni circa, finalmente i “segreti di Stato” raccontati dal boss casalese – oggi pentito – Carmine Schiavone, non sono più tanto segreti. La Forestale analizza le falde di numerosi terreni – adibiti alla coltura di insalata, broccoli, cavoli, finocchi, verza, cicoria e zucchine – e scopre che sono tutti irrigati con l’acqua inquinata di Cloroformio per valori spropositatamente superiori alla norma.
In tutto il comprensorio vengono sequestrati 13 pozzi, 43 ettari di campi e quintali di prodotti pronti ad essere immessi sul mercato ortofrutticolo. Il dramma, insomma, di un territorio avvelenato. Dopo qualche settimana ancora Schiavone si lascerà sfuggire un laconico: «la Calabria è come la Campania, rifiuti tossici ovunque».
Un’altra storia (o forse la stessa storia), in una terra meno celebre e seducente, racconta di un “Lago di Gomma”, l’Alaco. Un bacino artificiale sorto ormai otto anni fa, che continua ad erogare acqua a 400mila calabresi nonostante dal maggio di due anni fa sia stato posto sottosequestro dalla Procura della Repubblica di Vibo – assieme ad altri 65 impianti idrici distribuiti in tutto il territorio provinciale – a seguito dell’inchiesta “Acqua Sporca” dalla quale scaturirono circa una cinquantina di avvisi di garanzia all’indirizzo di amministratori attuali e passati, di dirigenti e tecnici, di controllori e controllati che quasi sempre combaciano. Al centro della bufera l’Asp, l’Arpacal e la Sorical. Tutti enti – in un modo o nell’altro – afferenti alla Regione Calabria. Dalla data del sequestro – sia chiaro, effettuato solo a titolo preventivo – l’Alaco si è trasformato, appunto, in un "Lago di Gomma". Se ne parla poco e sempre confusamente. Intanto la sua acqua continua a scorrere indisturbata dai rubinetti delle case di migliaia di calabresi stanziati in un centinaio di comuni a cavallo di due province, Catanzaro e Vibo. Ogni tanto spunta qualcosa e la questione torna di moda. Come nel febbraio del 2013, quanto – assai stranamente – le analisi di un prelievo effettuato 57 giorni prima (in genere ce ne vogliono 4 per rendere noti gli esiti di potabilità o meno) allarmarono l’Italia intera: ne risultavano, al pari di Caivano, quantità ingenti di Cloroformio e, addirittura, di Benzene. Quest’ultimo, ancora più stranamente, si trasformò dopo poche ore – per un mero «errore di trascrizione», si disse – in «composti aromatici alogenati derivati dal Benzene» (sostanza comunque non prevista nelle acque da adibire liberamente all’uso umano). Se vi fossero anche metalli pesanti non ci è dato saperlo: quelli, nel "Lago di Gomma", non li cerca nessuno.
All’epoca dei fatti a conquistare la scena mediatica fu chiaramente il Benzene o presunto tale, mentre l’altrettanto cancerogeno Cloroformio non fece notizia. Eppure all’uscita del potabilizzatore risultava esserci Triclorometano per ben 275 ?g per litro e Dibromoclorometano per un valore rilevato di 284 ?g. Sostanze appartenenti alla classificazione del Cloroformio e che uniti al Bromoformio e al Diclorobromometano, secondo la normativa dovrebbero raggiungere un valore massimo di 30 ?g per litro. Insomma, ce ne erano per una quantità superiore di quasi 20 volte il valore massimo consentito. Molto di più di quanto preveda in materia anche la direttiva Europea o quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Eppure, nel più abissale silenzio, il "Lago di Gomma" continua a farsi rimbalzare tutto addosso. Cloroformio compreso.