Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Come le grandi celebrazioni, officiate per omaggiare e onorare i grandi uomini che hanno dato un loro indelebile contributo alla società, allo stesso modo, ha assunto grado di solennità la messa celebrata il 23 settembre scorso per ringraziare don Gerardo Letizia, parroco della parrocchia San Biagio di Serra San Bruno, da poco in pensione dopo una lunga e proficua carriera ecclesiastica.
Peggio che uccidere un uomo, è ucciderne anche il ricordo. Farlo svanire nel nulla, cancellarne la memoria, privarlo anche di una degna sepoltura e tenerlo sospeso, come in un limbo eterno, in uno spazio e in un tempo che non è né della vita né della morte. Un destino tremendo, che in Calabria è toccato a molti, tanto da diventare metodo, pratica consolidata, privilegiata da chi vuole annientare una persona non solo fisicamente, da chi vuole cacciare il “nemico” in un inesorabile oblio. È la famigerata lupara bianca, l'arma più temibile della 'ndrangheta, che uccide, inghiotte e non lascia tracce dietro di sé, solo dubbi atroci, domande disperate che non troveranno mai risposta. E tanto dolore. Le vittime non si contano più, come non si contano le madri che cercano con cocciutaggine una verità che solo in alcuni, rari casi sono riuscite a far venir fuori. Di contro, invece, questa barbara pratica criminale si sta materializzando anche in territori che, finora, ne erano rimasti immuni. Perché la lupara bianca “conviene”
Vorrei continuare il mio percorso tra la gente. Tra la gente di paese, quella semplice e genuina, quelle persone che continuano a conservare il valore delle regole del vivere civile e dell’armonia che dovrebbe essere di nuovo regola di vita. Un paese come lo si identifica? Quando un paese diventa paese? Quando cominciano ad esserci tutti gli elementi principali che, miscelati in un unico impasto, creano una comunità. Il campanile, la Chiesa, naturalmente, specialmente nel meridione, e di fronte la Chiesa la piazza, luogo di incontro, di mercato, dei negozi, di dicerie, di incontri, di baci di adolescenti. Ma un paese si può solamente chiamare tale quando lo si osserva da dentro la “bottega” di un barbiere. E’ un classico: il gilet bianco, i modi gentili, il cavalluccio sul quale ti mettevano a sedere da bimbo, e per aiutare nel lavoro l’artista delle chiome, e per convincere il bambino a starsi fermo. “Stai fermo per la Madonna, finirai per farti tagliare!”. E ogni tanto, l’impaziente genitore molla anche qualche sonoro schiaffone all’irrequieto capellone in attesa di una solenne tosatura. E il paese che mi torna in mente è fatto di bei modi - non di macchine incendiate… -, del ricordo di un genitore che dalla mano ti accompagna da Mastro Bruno. “Buon giorno Mastro Bruno!”. “Buongiorno Professore, come sta la sua Signora? E il bimbo…”. Sorrisi e cortesie nella bottega di Mastro Bruno Amato, che io ho sempre identificato in Figaro, il più famoso “fac totum della città”. Ed alla fine, una bella riga di lato e una caramella prima di scendere da quel cavalluccio che intanto era diventato Furia e dal quale non ti saresti mai alzato anche a costo di farti rapare a zero. E poi il buon odore di quella spruzzatina di acqua di colonia che ti facevano per farti sentire grande e ben ordinato. Da buon serrese, oltre al suo lavoro, Mastro Bruno porta dentro di se sia l’arte dei nostri antenati, sia la fede. E - tra “Bruni”… - amico fraterno di Mastro Bruno Amato è Mastro Bruno Tassone: assieme parlano delle loro serenate e delle loro storie d’amore, quelle della meglio gioventù, quelle di un paese fatto di rapporti umani che non sempre riusciamo a trasferire ai nostri figli, come quei galantuomini che son stati già i nostri genitori.
La sua bottega, al centro del paese, tra Terravecchia e Spinetto, (ora “trasformata” dalla altrettanto brava figlia Santina in una parrucchieria e centro estetico per uomini e donne) è uno di quei punti dove si respira ancora l’ambiente di una volta, carico di storie, di valori, di umanità. Probabilmente dovremmo cercare di riappropriarci della nostra cultura popolare, che guardava di più al paese, alla reale situazione della gente, del proprio vicino. Essere uomini degni. La dignità che non ti permette di propinare acqua velenosa alla gente per soldi, la dignità e la bontà di questi uomini che non permetteva a loro stessi di arricchirsi a dismisura rubando al prossimo e usurpando i diritti del prossimo. Forse, in quelle botteghe, fatte ancora di saluti e di sorrisi, potremmo andare a cercare quell’amore per noi stessi, prima di tutto, l’amore per la nostra storia, le nostre radici. Il senso del bello, mostrato in spose con la chioma piena di fiori e statue di un Santo che forse, offeso per esser stato tradito, avrà girato il suo benevolo sguardo da un’altra parte.
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