Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Serra San Bruno, che in passato fu uno dei paesi più importanti del vibonese per il grande fiorire delle maestranze locali, è ancora un luogo di persone estremamente sensibili agli antichi mestieri e dedite all’arte e all’artigianato. Ieri – sempre all’interno della manifestazione “La festa del fungo” promossa dalla Pro Loco – il centro storico di Serra è tornato a rivivere come un tempo. Molte abitazioni hanno ospitato una miriade di artigiani, e sono state aperte – alla stregua delle vecchie botteghe – per ospitare le maestranze (provenienti anche da altri comuni) che hanno preso parte al “Sentiero dell'artigiano”. Oggi, nonostante l’acquisto di prodotti a misura di centro commerciale abbia cambiato notevolmente l’approccio della gente con il mercato, tante sono ancora le persone che, rintanate nella propria casa, si dilettano ad esercitare i mestieri tramandati e appresi dai genitori. Tanti anche i giovani che hanno frequentato corsi professionali per entrare nel mondo del lavoro. Proponiamo qui una galleria fotografica degli stand presenti al “Sentiero dell’artigiano”.
(clicca sulle immagini per ingrandirle)
GEROCARNE - Nella tarda serata di ieri, intorno alle 23, in località "Ariola" a Gerocarne, sono andate in fiamme due cataste di legna, poste all'interno di un piazzale di proprietà di C.C., classe '77, imprenditore boschivo residente nel centro del Vibonese. Si tratta complessivamente di 700 quintali di legname che, probabilmente, sarebbe servito per la produzione di carbone. Sul posto, si è reso necessario l'intervento dei Vigili del Fuoco del distaccamento di Serra San Bruno e dei carabinieri della Compagnia serrese, diretti dal maresciallo Giuseppe Grillo. Incerte al momento le dinamiche dell'accaduto, visto che sul posto non sono stati trovati oggetti di alcun tipo né pare che C.C. abbia mai ricevuto minacce o estorsioni.
Il caso di Oppido Mamertina, seguito poi da quello di San Procopio, è finito al centro delle cronache di tutta Italia. I fatti ormai sono noti: Madonne e Santi in processione sostano e si inchinano davanti alle abitazioni che accolgono vecchi boss costretti ai domiciliari, e come per fatalità, per la prima volta – è proprio il caso di dirlo – grazie a Dio, il mondo inizia a condannare riti e rituali che fino ad ora si era semplicemente limitato ad osservare. Poi, ieri, una nuova polemica. Questa volta a mettersi di “traverso” è la Chiesa: la storica processione della Madonna del Carmine a Vibo Valentia, che si sarebbe dovuta svolgere per le vie del centro storico della città, viene annullata. Lo stop preventivo è arrivato dalla parrocchia della stessa Chiesa del Carmine, di concerto con la Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, in seguito alle determinazioni assunte dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza.
Polizia e carabinieri per diversi giorni hanno sottoposto al vaglio i nominativi dei “portatori della statua della Madonna del Carmelo”. Fra di loro – evidenziano le forze dell’ordine – vi sarebbero diversi soggetti vicini ad ambienti criminali. Da qui il passo è breve: «Misure straordinarie – si è detto – per il “commissariamento” della processione». Proprio così, commissariamento, come avviene per i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa in cui gli amministratori voluti dal popolo vengono sostituiti da altri scelti dal governo, in analogia (tornando al sacro) con quanto accadde già nelle ultime festività pasquali a Stefanaconi, quando le statue vennero portate in spalla dai ragazzi della Protezione civile.
A Vibo, il Prefetto aveva piuttosto suggerito alle autorità religiose di far trasportare la Madonna su un furgoncino guidato da un rappresentante della Protezione civile. Misura, però, risultata non gradita. A “controindignarsi” questa volta è stata proprio la parrocchia del Carmine di Vibo, che, contrariata dalla sola idea di vedere la statua della Vergine recata in processione da qualcos’altro o da qualcun’altro che non siano gli abituali e più noti portantini – secondo gli inquirenti «vicini alla cosca di 'ndrangheta dei Lo Bianco» – dichiara, addirittura, l’annullamento della cerimonia, una delle più sentite e seguite del capoluogo. In definitiva, il rito è dunque saltato. In chiesa, in serata, si è celebrata la messa, nella piazzetta del Carmine si sono tenuti i festeggiamenti civili. Alle pareti ancora resiste un piccolo manifesto affisso prima della contesa per indicare il percorso che avrebbe dovuto seguire la processione.
L'astinenza da corteo a cui la diocesi ci condanna, il vuoto che questa probabilmente genera, soprattutto, nello stomaco dei fedeli, non può di certo risultare più insopportabile di una manciata di pezzenti che si inchinano al cospetto del boss. Ma l’idea di rifiutare anche il camion guidato dal referente della Protezione civile non è di certo un atto di giustizia. Si tratta, anzi, di un provvedimento che lascia la sensazione che nulla di coraggioso sia stato fatto per arginare il problema. O che, comunque, nulla sia stato fatto per restituire realmente la Madonna ai credenti evitando di tenerla ostaggio di una valenza “culturale” del tutto distorta, che si nutre di “inchini”, metafore e simboli emblematici. Così si è finito per negare la processione a tutti, anche a chi ripudia la mafia ed intende piegarsi solo ai piedi della stessa Madonna in segno di reale venerazione religiosa.
Siamo invasi dalla retorica ridondante di chi si scaglia contro la «non giusta considerazione della bella e ospitale Calabria», ma mai, stranamente, ci si chiede dove abbia poi condotto tanta eloquenza nel decantare una terra spacciata, solamente, per pura e genuina. Sarebbe molto più proficuo, forse, se gli assertori di tanta magnificenza – quelli che in genere si rifugiano nelle formule dei «meravigliosi mari e montagne», del bergamotto reggino e della ‘nduja di Spilinga – prendessero davvero posizione di fronte ad un declino, soprattutto culturale, di cui non si può più tacere. Indichino soluzioni tangibili e percorribili e non frutti impuri della peggiore ipocrisia. Perché altrimenti questa terra, già socialmente ed economicamente fragile, rischia di affondare definitivamente per i troppi inchini.
Per questo soprattutto la Chiesa, pregna di intellettualismo elitario, di teologi che hanno fatto finta di non accorgersi di questa involuzione, che sono stati velatamente indulgenti con la capacità della ‘ndrangheta di influenzare anche lo spazio “sacro” delle manifestazioni religiose popolari, adesso sbaglia di grosso se immagina che le processioni possano cambiare rotta e modalità su semplice indicazione del Prefetto di turno o su sospensioni dell’ultimo minuto. Piuttosto, ciò dovrebbe accadere secondo un atto di coraggio che abbia origine soprattutto nella Chiesa stessa, obbligata a farsi carico di un problema che – in troppi casi – essa stessa ha contribuito a generare per mera e timorosa compiacenza. Per comodità e quieto vivere. L’inchino al cospetto dei “notabili” e dei “potenti”, il togliersi il cappello davanti al boss, è un atto di soggezione che la Calabria deve ripudiare con forza e non sfuggire timorosamente per decreto.
Riceviamo e pubblichiamo:
Era il 1121 quando il Pontefice Callisto II, si trovò ad attraversare l'antico Borgo di Spadola. Pare che per uno scherzo del destino, fu costretto a una breve sosta proprio nel piccolo abitato di Spadola. L'evento eccezionale fece accorrere gli abitanti del borgo che, come da consuetudine si protendevano a baciare il piede dell'illustre passeggero. qualcuno della folla, ebbe l’idea di sottrarre furtivamente dal piede del pontefice, una delle due pantofole di seta rossa con la croce d'oro ricamata sulla tomaia. Il Papa adirato per l’insano gesto, lancia anatemi e maledizioni per la scomunica dell'intera popolazione. L'antica memoria popolare racconta che il Santo Padre, abbia malaugurato la crescita della popolazione. Molti secoli dopo, la comunità di Spadola, volle riconciliarsi con lo stato pontificio e, nell’occasione della visita di Giovanni Paolo II, avvenuta il 5 Ottobre 1984, restituirono simbolicamente la pianella che i loro antenati avrebbero sottratto a Callisto II. E così con la benedizione apostolica arrivò la bramata riconciliazione col successore di Pietro e la popolazione di Spadola è ripresa a crescere tant'è che oggi conta 870 unità, così come dimostra anche il dato demografico ISTAT. Pare che la maledizione però, da allora si sia trasferita nel vicino borgo di Brognaturo che non cresce più e sfiora il suo minimo storico, di poco più di 670 anime nel 2011 . Il memorabile dato è quanto mai allarmante e spiega che più che di una maledizione, nel caso di specie, si tratta di mala amministrazione, difatti la curva demografica lunga 140 anni, tracciata nel grafico dell’Istituto Nazionale di Statistica, inizia a flettere incontrovertibilmente negli anni ottanta e ad oggi ancora la rotta non si inverte. Nel medesimo periodo storico il paese è guidato dalla stessa compagine, che piuttosto di redigere, in questi lunghi anni, un piano di fabbricazione per creare l’opportunità di costruire nuovi e moderni spazi abitativi, per migliorare la qualità della vita e per incentivare le giovani coppie a rimanere, ha ben pensato invece, di urbanizzare la Lacina con inutili colate di cemento su un polmone verde nel cuore della montagna. Come per un desiderio inconscio e recondito di scalare l’albero genealogico e risalire sino al porcaro suonatore di brogna, che pare ci abbia dato origini. E ancora oggi non se ne parla, pare che siano impegnati ad assecondare le frivolezze della clientela, piuttosto che il bene del paese che rischia di implodere in un cumulo di macerie.
Francesco Tassone
Era giovedì. Giovedì 15 dicembre, quando il Consiglio Comunale serrese con un’unanimità intrisa di legittimo equilibrio, chiese a S.E. il Prefetto di spedire a Serra la targa con la dicitura “Qui la ‘ndrangheta non entra.”. Un emblema di fiera legalità da affiggere all’esterno del palazzo municipale. Lo propose il consigliere di minoranza Lo Iacono. Un’idea inopinabile. L’assemblea all’unisono approvò compiaciuta: “Questa targa s’ha da fare!” Tutti d’accordo, come ad un matrimonio.
Un gesto importante. Un eloquente segno di ribellione nei confronti del pericoloso sistema che alimenta la criminalità cittadina. Perché proprio l’amministrazione deve essere d’esempio per la comunità, anche attraverso delle semplici azioni simboliche volte a diffondere la cultura della giustizia. Una targa, quattro piccoli chiodi, un grande passo per la legalità.
Certo, sarebbe da stolti, pensare che una semplice affissione possa bastare a rendere immuni da un virus così atroce com’è quello della ‘ndrangheta.Di seguito il testo del manifesto affisso stanotte per le vie di Serra San Bruno:
Egr. sig. Sindaco
ci rivolgiamo di nuovo a Lei per chiederLe chiarezza in merito alla precaria situazione in cui versa l’ospedale cittadino e per conoscere la posizione che la Sua maggioranza intende assumere al fine di difendere e rilanciare l'unico baluardo sanitario del nostro territorio. E’ chiaro a tutti che l’ospedale “San Bruno" e', ormai, avviato sulla strada di una progressiva chiusura, senza che alcun rappresentante politico del territorio abbia preso alcuna iniziativa. A sentire le promesse fatte da Lei e dalla Sua maggioranza in campagna elettorale, Serra San Bruno avrebbe dovuto avere un nosocomio d'avanguardia. A distanza di quasi un anno vorremmo sapere che fine abbia fatto “L’ospedale del futuro”Di seguito il testo del manifesto affisso stanotte per le vie di Serra San Bruno:
“La verità la so io la sai tu e tutta la maggioranza”
Vorrebbero saperla anche i cittadini
Egr. sig. sindaco,
Le rivolgiamo la presente, con il rispetto dovuto all’istituzione che rappresenta, al fine di consentirLe di fare pubblicamente chiarezza su quello che, per tutti, è, ormai, diventato il “caso Zaffino”. Dopo le parole pronunciate dal suo ex assessore, nel corso dell’ultimo consiglio comunale, riteniamo Lei debba intervenire. I cittadini hanno il diritto di sapere. Alla luce dei pettegolezzi, delle dicerie e delle illazioni Lei non può continuare ulteriormente a far finta di niente; tanto più che l’assordante silenzio con il quale, Lei e la sua maggioranza, state cercando di coprire l’intera vicenda rischia di assumere i tratti tipici dell’omertà.Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
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