Domenica, 09 Ottobre 2016 13:51

Satira e libertà di espressione, la lezione di Marika Bret (Charlie Hebdo)

Scritto da Bruno Greco
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A volte l’indignazione è direttamente proporzionale all’orda di commentatori social che senza alcuna riflessione la esprimono in tempo reale sul web. Ieri a rassicurare il popolo degli “indignati” ci ha pensato Marika Bret, redattrice della nota rivista di satira Charlie Hebdo che, dopo il tragico terremoto che ha colpito il Centro Italia aveva ancora allargato la cassa di risonanza sul proprio conto con la discussa vignetta su Amatrice: «Purtroppo non è stata capita».

Marika Bret è arrivata ieri al Museo del Fumetto di Cosenza e ha cercato di spiegare come lavorano i membri del progetto editoriale che tanto ha fatto parlare di sé negli ultimi tempi. Una libertà di espressione che purtroppo deve fare ancora i conti con un caso fortuito quale può essere un black-out. Infatti, quando nel Museo del Fumetto va via la luce, la Bret scortata è costretta a scappare per mettersi in sicurezza.

 «Il nostro limite è quello giuridico – ha detto la redattrice del settimanale satirico – a parte questo non abbiamo limiti morali. Ciò non significa che criticando l’una o l’altra religione, ad esempio, attacchiamo chi la pratica». E ritornando sulla vignetta di Amatrice, la Bret ha spiegato al pubblico come fin da subito l’Italia ha cavalcato la chiave di lettura che i politici italiani hanno dato alla vignetta: «Gli stessi politici che quel disastro lo hanno creato, hanno deciso come voi avreste dovuto leggere quella vignetta. Piuttosto che parlare delle scuole crollate, qualificate prima dell’evento come punti antisismici dove accogliere le persone in caso di terremoto, si sono indignati per la nostra vignetta. Noi siamo abituati a mettere il lettore davanti a un tabù, come quello della morte, ad esempio. Sappiamo che è una cosa abbastanza forte ma invitiamo a leggere ciò che sta dietro i nostri disegni».

Un contesto, quello italiano, ricondotto alla tradizione culinaria solo per poter veicolare il titolo “Séisme à l’italienne” (Terremoto all’italiana), che dietro nasconde un sistema ancora una volta fallimentare. O, come fa notare un cronista, «l’ennesima occasione in cui potere mangiare sulle disgrazie altrui», ricordando le intercettazioni telefoniche tra politici e imprenditori che ridevano della disgrazia e definivano un «colpo di culo» il terremoto dell’Aquila grazie al quale avrebbero potuto gestire appalti milionari. Ma l’Italia, ha tenuto a sottolineare la Bret, non ha reagito tutta allo stesso modo. E per lei – dopo aver subito minacce dagli italiani oggi pronti a dire “Je ne suis pas Charlie” (alla stregua di altri popoli che si sono sentiti offesi dalle vignette della rivista) – una delle più belle rassicurazioni è arrivata dal regista Francesco Mazza con “La vignetta di Charlie Hebdo spiegata a mia madre”. E alla domanda «dove trovate ancora la forza per andare avanti?», la Bret risponde: «La forza arriva anche da altri colleghi, come noi, che in Giordania sono morti per avere espresso la propria opinione. E dagli sforzi di quei giornalisti, scrittori e uomini di cultura che vanno alla ricerca di espedienti per potersi esprimere, in posti dove la libertà di espressione è solo un concetto e per una vignetta puoi essere condannato a morte».

 

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