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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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Solo 4 giorni fa la Camera dei deputati ha approvato con 372 sì, 51 no e 99 astenuti il testo di legge che regolamenta le unioni civili (ribattezzato ddl Cirinnà) tra persone dello stesso sesso che otterranno le tutele già previste dal matrimonio civile. La legge riguarderà, però, anche gli eterosessuali, che potranno beneficiare della stipula di contratti di convivenza.
Nel concreto, alla base del testo vi è la possibilità per due persone maggiorenni, dello stesso sesso, di contrarre matrimonio di fronte ad un’autorità riconosciuta e alla presenza di due testimoni. L'atto verrà poi registrato nell’archivio dello Stato civile, e le parti potranno scegliere un cognome comune optando per quello di uno dei due. Le unioni civili, in sostanza, presentano molte analogie con il matrimonio di una coppia eterosessuale, mentre nello specifico il contratto di convivenza tende a riconoscere maggiori tutele ai legami affettivi di coppia, di reciproca assistenza morale e materiale, tra soggetti residenti nella stessa abitazione, non legati tra loro da altri istituti giuridici, né da vincoli di parentela, affinità o adozione. I diritti garantiti, in tal caso, sono quelli inerenti alla rappresentanza; quelli del diritto penitenziario (il diritto di visita); quelli relativi all’ambito sanitario (ad esempio nel caso in cui una malattia comporti incapacità di intendere e di volere per il partner); per le decisioni in materia di salute e in caso di morte (donazione di organi, trattamento del corpo e celebrazioni funerarie); il diritto ad abitare (quando muore il partner, che è al contempo proprietario della casa di comune residenza, colui che resta ha il diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni e, in caso di locazione, succedere nel contratto). I diritti si estendono, infine, anche alla possibilità di accedere alle graduatorie per l’edilizia popolare.
Alcuni sindaci hanno già espresso perplessità rispetto alle unioni civili e hanno dichiarato di non volere porre in essere le unioni tra persone dello stesso sesso, mentre il leader della Lega, Matteo Salvini, ha addirittura spronato i sindaci a disobbedire (come se i primi cittadini fossero al servizio di un partito e non della propria comunità). Dello stesso parere pare essere anche il sindaco di Acquaro, Giuseppe Barilaro, che nel corso dello svolgimento di una seduta del consiglio comunale avrebbe annunciato la ferma intenzione di non svolgere il rito civile per matrimoni al di fuori di quelli tra uomo e donna.
In realtà i sindaci, anche se “obiettori” dovranno comunque delegare le funzioni di ufficiale di Stato civile, decidendo – come sarà probabilmente nel caso di Barilaro – di investire, per lo svolgimento del rito per matrimoni tra persone dello stesso sesso, i dipendenti a tempo indeterminato o il segretario comunale, gli assessori, i consiglieri comunali o addirittura i cittadini che abbiano i requisiti per l’elezione a consigliere comunale a patto che siano abilitati per legge. I comuni, infatti, devono comunque obbligatoriamente garantire che le celebrazioni si possano svolgere, così come previsto dal regolamento di Stato civile. Il rifiuto e l’omissione di atti d’ufficio da parte di pubblico ufficiale, comporterebbe conseguenze quali, in primis, quelle previste dall’articolo 328 del codice penale che prevede «la reclusione da sei mesi a due anni per il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio».
In linea teorica il ddl Cirinnà dovrebbe proiettare l’Italia un passo avanti (siamo il 27esimo paese a dotarsi di una normativa in materia) o comunque verso un processo di reale emancipazione dei diritti di tutti i cittadini, così come imposto da due distinti articoli della nostra Costituzione sia rispetto ai diritti inviolabili dell’uomo, come singolo, nelle formazioni sociali e all’uguaglianza dei cittadini (articolo 2), sia sulla pari dignità sociale dei cittadini senza distinzione di sesso (articolo 3). Ma, ciò nonostante, appaiono numerose le prese di posizione, infarcite di bigottismo, di chi professandosi buon cattolico, ma essendo in realtà semplicemente un integralista, vorrebbe l’infelicità altrui, in barba ad ogni processo di inclusione ed uguaglianza.
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