Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Chi ci vive, molto spesso, non fa altro che rimuginare, senza esito, su come fare ad andarsene, mentre chi se n’è andato è condannato a rivivere una nemesi quotidiana fatta di odori, colori e suoni, in un tempo sospeso, irreale, fermatosi al momento della partenza. E non desidera altro che tornarci. Rappresentazione immutabile delle speranze e dei paradossi di un popolo che forse popolo non è mai stato, i paesi delle aree interne custodiscono l’identità culturale della Calabria, o meglio delle Calabrie. La mappa genetica di questa regione si muove, infatti, lungo una ragnatela di storie antiche e culture meticcie: impronte sbiadite e disordinate, distanti tra loro, rimandi di un passato che talvolta è rimasto aggrappato alle rocce di quella Calabria “aspra” dell’entroterra, che pochi hanno saputo raccogliere e mettere a dimora.
La storia del regionalismo nel Mezzogiorno d’Italia è nota, così come sono evidenti gli effetti di decenni di gestione assistenzialistica e clientelare della cosa pubblica. La civiltà agricola, contadina, artigiana, è stata soffocata dal boom economico, il “miracolo italiano”, che al Nord ha prodotto la nuova industrializzazione e la nascita di un tessuto produttivo forte, mentre al sud ha portato a una anestesia di massa per almeno due generazioni, impiegate a vita in uffici pubblici di ogni genere: ospedali, scuole, enti regionali e subregionali, province, comuni, comunità montane. E se le città sono dei punti nevralgici in cui sono stati accentrati servizi e strutture pubbliche, i paesi delle aree interne stanno soccombendo, per lo più svuotati da una nuova emigrazione e abbandonati al loro destino con il patrimonio che custodiscono, inestimabile dal punto di vista antropologico e insostituibile da quello umano.
Nonostante la miriade di progetti “per lo sviluppo locale” o per le “aree rurali”, presentati ciclicamente dalle amministrazioni pubbliche come risolutivi ed innovativi – vedi articolo in basso – l’entroterra calabrese non è mai stato “recuperato”, né “valorizzato”, o tantomeno “trasformato in risorsa”. La solità verbosità burocratica, com’era prevedibile, non ha portato a nulla di concreto, e oggi le ferite dei territori si vanno incancrenendo. Dalla carenza di servizi sanitari all’assenza totale di infrastrutture adeguate, dallo spopolamento alla dilagante omologazione culturale, tutti i fattori che hanno portato il Meridione a una modernizzazione forzata, senza alcuno sviluppo reale, si sono riprodotti con maggiore drammaticità nei piccoli centri delle zone interne. Villaggi nati centinaia di anni fa che ancora oggi tentano di resistere all’abbandono, sospesi sui dorsi di montagne scure o adagiati in valli avvolte dalla nebbia. Paesi fatti di pietra, di granito e sabbia, che hanno cullato arti e mestieri ormai perduti, neanche consegnati alla memoria, privati persino della dignità del ricordo. Eppure questi luoghi, lastricati di viuzze che si inerpicano tra case ammassate una sull’altra, appesi alle montagne o a strapiombo sul mare, hanno attirato anche l’attenzione di uomini passati alla storia, per motivi e circostanze molto diversi.
Quando Pier Paolo Pasolini venne in Calabria, una prima volta nel 1959 e una seconda nel 1964, esplorò a lungo l’entroterra di questa regione di “banditi” – in senso strettamente letterale, fu poi costretto a spiegare. Arrivò anche nelle Preserre vibonesi, ad Ariola di Gerocarne, luogo storicamente privilegiato dal punto di vista naturalistico e agricolo. Qui il poeta incontrò i contadini della zona, ai quali finanziò anche un ponte che serviva loro per raggiungere più agevolmente i campi. Oggi questo territorio è teatro di una cruenta faida di ‘ndrangheta. “In Calabria – disse poi Pasolini – è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno: è stata uccisa la speranza pura, quella un po’ anarchica e infantile, di chi vivendo prima della storia, ha ancora tutta la storia davanti a sé”. E per capire cosa voglia dire “vivere prima della storia”, basterebbe forse osservare Pentedattilo, un meraviglioso paese appoggiato sul dorso del “Monte Calvario”, una rupe a forma di mano, all’estrema punta meridionale dello Stivale, in mezzo al Mediterraneo. Abbandonato. Qui nel 1930 sostò Maurits Cornelis Escher, famosissimo artista olandese, e come già aveva fatto a Santa Severina e a Tropea, realizzò disegni e incisioni poi divenuti celebri.
Sono solo alcuni dei personaggi che raccolsero, o provarono a raccogliere, il sentimento di questi luoghi, che oggi vive una vita effimera solo nella memoria di pochi. Forse il senso dell’appartenenza resiste in qualche paesino di montagna della Sila, delle Serre, del Pollino o dell’Aspromonte, magari ancora abitato, ma comunque già colpito dalla malattia dell’abbandono. Come se ciò non bastasse, sono proprio questi territori, i più deboli, una volta svuotata la mammella assistenziale, ad essere colpiti anche dai tagli alla spesa pubblica: sono le prime vittime del “pareggio di bilancio” e fanno anche da cornice a opere pubbliche inutili e decadenti o ad ecomostri che ne sfregiano la bellezza naturale. Eppure, conservano una Storia, custodiscono la bellezza, nascondono dei misteri.
Leonardo Sciascia ne inseguiva uno destinato a rimanere irrisolto quando arrivò alla certosa di Serra San Bruno, fondata mille anni prima proprio dal Santo di Colonia. Nel 1975, in “La scomparsa di Majorana”, raccontò come il suo viaggio sulle tracce del fisico scomparso lo avesse portato in quella “cittadella di certosini” circondata da boschi lussureggianti e inaccessibili. Oggi quel luogo così ammantato di mistero, che diede i natali al poeta dialettale Mastro Bruno Pelaggi e che fu la casa dello scrittore Sharo Gambino, sembra tornato ai tempi del dopoguerra: un ospedale fortemente ridimensionato, un isolamento mai realmente affrontato, grandi progetti di opere pubbliche rimasti solo sulla carta – ormai leggendaria è la Trasversale delle Serre, di cui sono stati realizzati in quarant’anni solo pochi chilometri – e casi paradossali di malagestione delle risorse naturali – su tutti, quello dell’invaso dell’Alaco – di cui pure il territorio è ricco. Un emblema del paradosso, drammatico, incarnato da tutti questi luoghi.
Del resto, la politica calabrese ha sempre usato questi piccoli centri solo come bacino elettorale, rinunciando a priori al tentativo di salvaguardare ed esaltare le caratteristiche uniche che spesso custodiscono. Le “rocce rosse e lunari” che circondano la vecchia Brancaleone, ad esempio, furono osservate a lungo da Cesare Pavese - mandato qui al confino nel 1935 – prima di cominciare a scrivere “Il mestiere di vivere”. E da luoghi simili passarono anche Alan Lomax, Diego Carpitella ed Ernesto De Martino, mostri sacri dell’etnomusicologia, che restarono sconvolti dalle meraviglie musicali che scoprirono e registrarono, per dirne una, tra i suonatori di Cardeto, ai piedi dell’Aspromonte.
Quella in cui oggi si sopravvive, stretti tra l’inganno della politica e la protervia della ‘ndrangheta, è la terra dei pastori analfabeti che recitano la Divina Commedia a memoria, la stessa che ha partorito Tommaso Campanella, e che ha finito per coprire le sue storie e i suoi dolori sotto uno spesso strato di polvere e di indifferenza. Una terra che ha tutto e in cui, appunto, manca tutto, in cui si è cercato di trarre solo profitto, e mai lavoro, da qualsiasi cosa, tranne che dalla terra stessa e dai saperi che custodisce. Una terra, insomma, a cui è stata rubata l’identità, che ha soffocato la sua bellezza nel ventre molle dell’appiattimento sociale e culturale, e che oggi neanche ricorda più “quella speranza un po’ anarchica e infantile” di chi vive prima della storia, ma rischia di addormentarsi definitivamente alla fine della storia.
Sergio Pelaia
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L’intervento delle Regione Calabria a sostegno della competitività dei sistemi produttivi territoriali e delle imprese è presentata nell'Asse VII del Por-Fesr 2007-2013, che ha come obiettivo specifico quello di “migliorare le condizioni di contesto e sostenere la competitività dei sistemi produttivi e delle imprese attraverso la qualificazione e il potenziamento delle infrastrutture produttive materiali ed immateriali e sostenere la domanda di servizi innovativi alle imprese”. Le risorse complessive messe in campo sono ingenti: 406 milioni di euro a valere sul Por Calabria Fesr 2007-2013. L'agroalimentare è uno dei settori di rilievo, considerato il ruolo prevalente nell'economia regionale e la rappresentazione territoriale che il “primario” assume in Calabria; per il settore agroalimentare ed i sistemi produttivi agroalimentari e rurali, è stata prevista un apposita linea di Pisl: Sistemi produttivi locali, distretti agroalimentari e distretti rurali , con una previsione economica di ben 115 milioni di euro. La Regione Calabria entra prima nell'Obiettivo 1 e adesso nell'Obiettivo convergenza. Un'opportunità importante soprattutto se vista alla luce anche degli altri PISL previsti: Sistemi di Mobilità Intercomunale (31 milioni)), Sistemi intercomunali per la qualità della vita (31 milioni), Sistemi turistici locali e destinazioni turistiche locali (171 milioni). Nell'avviso pubblico attivato dal Por Calabria sono previsti anche i Progetti integrati di sviluppo regionale (PISR): Valorizzazione dei centri storici e dei borghi di eccellenza (21 milioni), finalizzato a predisporre azioni di recupero e valorizzazione degli edifici pubblici e/o di pubblico interesse. Contrasto allo spopolamento dei territori marginali in declino (63 milioni) attuabile dai Comuni con popolazione inferiore ai 1.500 abitanti con decremento della popolazione oltre il 5%; Tutela, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio etno-antropologico delle minoranze linguistiche della Calabria (15 milioni). Si tratta di uno strumento complementare a quelli finanziati dalla politica di Sviluppo rurale, che integra le attività e gli interventi per garantire un'opportunità di sviluppo complessiva dell'area, in pratica laddove gli interventi non sono compatibili con il finanziamento del Programma di sviluppo rurale interviene il PISL con interventi orizzontali destinati alla logistica, all'innovazione e al rafforzamento dei sistemi produttivi. Fin qua tutto bene se però, accanto a tutti questi buoni propositi, non ci fosse, a pareggiare i conti in un modus operandi del tutto calabrese. Si parla di sviluppo e rilancio dell’agricoltura e si progetta un rigassificatore in un paradiso in terra quale la Piana di Gioia, già sventrata da un porto, ma che potrebbe rendere la Calabria autonoma per sovranità alimentare. Assistiamo contemporaneamente ad un graduale e progressivo smantellamento dei servizi nell’entroterra dettati dalla stessa politica che programma lo sviluppo delle stesse zone. Soveria Mannelli, Serra San Bruno, Acri, San Giovanni in Fiore, centri montani ai quali è stato ridotto il servizio sanitario al lumicino. Serra è orfana della Pretura, dell’Ufficio del Giudice di Pace, di vari uffici dell’ASP, dell’ospedale. La favola della trasversale delle Serre, cominciata nel 1965 è percorribile al venti per cento e per un buon cinquanta per cento è ancora in fase di progettazione. A Serra intanto si finanziano settecentocinquantamilaeuro per una Pinacoteca, certamente un ottimo investimento in cultura, ma forse meno urgente di una rete idrica alternativa all’oramai palesemente inadeguato impianto dell’Alaco.”La Serra avia bisuognu di li scarpi e pue si l’accattava la scuzzetta” (Serra aveva bisogno delle scarpe, e poi avrebbe comprato il cappello) recitava Bruno Pelaggi all’inizio del Novecento. Ancora una volta all’orizzonte si intravedono opere morte, altro cemento, altri appalti, altre clientele e a beneficiare dei fondi saranno sempre le stesse lobby di potere lasciando ancora una volta la Calabria, per dirla alla calabrese “Cuomu lu cani di lu guccieri, luordu di sangu e muortu di la fami”.
Sergio Gambino
(servizio pubblicato su Il Corriere della Calabria n.99)
foto: Serra San Bruno - da 'Le navi che volano', di Salvatore Piermarini e Vito Teti
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