Il meridionalista Nicola Zitara scriveva: «La specializzazione delle colture che, nello stadio di passaggio dall'economia di autoconsumo all'economia di mercato, rappresenta uno sforzo per attrezzarsi ed adeguarsi alla nova situazione, può risolversi nel corso degli stadi successivi in una condizione di servitù nei confronti dei mercati sviluppati, se da essa non scaturiscono le premesse per un allargamento qualitativo della produzione, specialmente nella direzione delle produzioni industriali». (L'unità d'Italia: nascita di una colonia; Jaca Book 1971). L’immigrazione di massa europea di quel periodo e dei primi anni del ventesimo secolo fu soprattutto il risultato della pressione economico-demografica risultante dallo squilibrio tra crescita demografica e offerta di lavoro. Nel periodo 1800-1910 le emigrazioni transatlantiche videro spostarsi 60 milioni di individui e l'aumento demografico della popolazione europea passò da 180 a 428 milioni di abitanti con un incremento del 140% in 110 anni. Aggiungendo le percentuali di popolazione emigrata altrove, la crescita ipotetica sarebbe stata più del 200%. Ma le cose a distanza di oltre un secolo non sono cambiate. La “crisi economica” nel sud Europa spinge l’emigrazione verso la Germania, Italia in prima fila. Lo rivela Destatis, l'istituto federale di statistica tedesco: in termini assoluti l’Italia è il Paese che lo scorso anno ha visto più partenze verso la Germania dei propri cittadini rispetto a Spagna, Grecia e Portogallo. Mentre rispetto al 2011 il numero di italiani emigrati in Germania è cresciuto di 12mila unità nel 2012; a lasciare la Grecia lo scorso anno sono state 10mila persone in più, 9mila in più sono arrivate dalla Spagna e 4mila in più dal Portogallo. In totale, l’immigrazione dai Paesi dell’Ue ha fatto registrare nel 2012 un balzo del 18%, con un aumento di 96mila stranieri rispetto al 2011. Secondo i dati preliminari diffusi dall’Ufficio di statistica Destatis, l’anno scorso 1,08 milioni di persone si sono trasferite in Germania, un aumento del 13% rispetto al 2011, un volume da ultimo osservato nel 1995. L’emigrazione dalla Germania verso altri Paesi ha riguardato, invece, 712mila persone, un aumento annuo di 33mila unità o del 5%, così che il saldo è un aumento di 369mila persone verso il Paese, anche questo, un nuovo record dal 1995. Scriveva ancora Zitara, nelle sue attualissime considerazioni: «Il Sud è senza lavoro perché non controlla il proprio risparmio. Non può usarlo per realizzare il suo passaggio a Paese moderno. Questo vincolo non è interno, ma esterno alla società meridionale e viene dallo Stato italiano, che è uno Stato falsamente nazionale. Esso infatti ha assolto la funzione storica di assicurare buoni profitti alle aziende e il pieno impiego dei lavoratori nelle regioni padane …». E la storia nei suoi “corsi e ricorsi” sembra ripetersi in un perpetuo e continuo viaggio verso il Nord. Mentre in Calabria arrivano sulle coste barcacce stracolme di poveri cristi in cerca di un futuro, migliaia di giovani provenienti dal sud dell'Europa “sbarcheranno” a partire da quest'estate in Germania per corsi di formazione professionale organizzati grazie a un programma finanziato proprio dal Bundesregierung (governo federale). Allo stato tedesco mancano all’appello trentamila posti di apprendista. Pare infatti che le Berufsschulen (scuole di formazione professionale) abbiano carenza di studenti e dunque di nuove braccia da inserire nel mercato del lavoro tedesco. Nello scorso mese di maggio la cancelliera Angela Merkel ha annunciato un programma di inserimento che prevede corsi di lingua, una partecipazione alle spese di viaggio, e un compenso aggiuntivo alla retribuzione offerta dai datori di lavoro agli apprendisti. La retribuzione dei giovani immigrati sarà superiore a quella degli apprendisti tedeschi (alla faccia del nazionalismo). Il programma lanciato dal governo federale comprende anche accordi bilaterali tra la Germania stessa e i Paesi mediterranei interessati. Esempio lampante l’accordo firmato tra il ministro del Lavoro Ursula Von Der Leyen a Madrid con la Spagna in merito ad incentivi e aiuti ai giovani spagnoli che vogliano spostare la propria residenza appunto in Germania. Il 14 maggio, la Merkel stessa, parlando alla conferenza sull'evoluzione demografica del Paese, aveva evidenziato l’assoluta necessità tedesca ad “aprirsi” il più possibile all'emigrazione qualificata. Nel 2025, dato che i tedeschi fanno sempre meno figli e che il numero dei pensionati continua a crescere, mancheranno all’economia europea sei milioni di lavoratori qualificati. Già adesso, senza il programma di incentivi ai giovani mediterranei proposto dalla cancelliera, l'immigrazione di giovani, specie di quelli qualificati, dal sud Europa nella Bundesrepublik è aumentata al massimo storico, soprattutto quella degli Spaghettifresser che aumentano del 40 per cento. La Germania resta uno dei pochissimi Paesi al mondo che in buona sostanza garantisce piena occupazione a quasi tutti i suoi giovani, mentre le risorse umane per la nostra nazione continuano ad essere “merce priva di valore”. Quasi quasi ai tedeschi questa “crisi” pare che faccia comodo, perché in condizioni favorevoli non sarebbe stato certo facile convincere i giovani ad abbandonare la propria terra per stabilirsi in territorio alemanno. Due Europe a due velocità diverse, una che non riesce a garantire nessun futuro ai propri giovani, un’altra che ha bisogno di braccia e di cervelli da utilizzare nei propri cicli produttivi, e quale miglior serbatoio di risorse umane del sud Europa? Sempre più attuale è il testo di Zitara che vede al posto dei Savoia i “Crucchi” e le stesse popolazioni disperate a distanza di quasi due secoli.
******************************
Salvatore e Valentina hanno tre bambine, la più grande di dieci anni e la più piccola di tre. Salvatore ha deciso di partire verso la Germaniaalla ricerca di un posto di lavoro. Per anni ha fatto il cartongessista in Calabria, ma con la crisi che sta attraversando il settore edile, non è stato più in grado di mantenersi. Parte prima da solo e poi, dopo tre mesi, fa arrivare a Saarbrücken il resto della famiglia.
Salvatore, perché ha scelto proprio la Germania?
«Per combinazione. A Serra San Bruno, accanto a casa mia, abita una signora, sposata con un tedesco, che tutte le estati torna a trascorrere qualche giorno nel suo paese d’origine. Suo figlio, in Germania, ha un’impresa multiservizi che opera nell’edilizia. La signora, vedendo la mia situazione disperata, mi ha proposto di chiedere al figlio se avesse bisogno di un cartongessista specializzato. Io, che ho collaborato alla realizzazione del Museo della Certosa di Serra San Bruno, tra le altre cose, le ho detto di sì. Mi è stato proposto di andare per un periodo di tre mesi a lavorare in prova presso quella azienda, e ho accettato. Dopo il periodo di prova che ho superato brillantemente, sono stato assunto a tempo indeterminato, ho trovato una casa in affitto e mi sono trasferito definitivamente in Germania».
Ed ora, come si trova? Mi può dire quali sono le cose positive e, se ne ha riscontrato, quelle negative?
«Certamente a livello di paga, di sicurezza economica, di assistenza alla famiglia non c’è paragone. In busta paga mi trovo mese per mese l’assegno per le mie tre figlie, che è di quasi ottocento euro, oltre alla paga, e ho tutti i diritti che in Calabria non ho mai avuto. Asilo, dentista, ferie, malattia pagata… cose che dovrebbero essere “normali”, ma che io non osavo neanche immaginare di poter avere. Il lavoro però è molto più regolamentato e con leggi più rigide, sia a livello di sicurezza sul cantiere, ma anche a livello di orari... sono molto meno flessibili degli italiani, anche se il mio datore di lavoro è italo-tedesco, se ritardi pure di cinque minuti sul cantiere ti tolgono un’ora intera dalla busta paga… ma se la sera finisci un quarto d’ora dopo dell’orario previsto a fine mese, quel quarto d’ora te lo ritrovi in busta. Quello che è tuo è tuo e quello che è loro e loro».
Senza cadere nella retorica, immagino che l’Italia le manchi, ma vorrei chiederle una cosa, tornerebbe?
«Quando penso alla mia infanzia, alla mia famiglia, alle montagne della mia Serra, mi viene il magone naturalmente, penso spesso che me ne tornerei domattina, poi penso a come ho vissuto negli ultimi anni che ho trascorso in Calabria e sono certo che non ci saranno mai le condizioni perché possa tornare. Poi ci sono le figlie, cominciano già ad ambientarsi, parlano bene il tedesco tutte e tre, lo hanno imparato con estrema facilità, al contrario di me che, tra le persone che frequento, quasi tutti italiane, tra il fatto che ancora non ho avuto il tempo materiale di iscrivermi ad un corso di lingua serale, e ce ne sono tanti per lavoratori, ancora la mia è quella che utilizzo per la maggior parte della giornata. Ho imparato le cose necessarie, e capisco il tedesco quasi completamente, ma a parlarlo ancora ho qualche difficoltà. Sono certo però che con l’aiuto delle mie bambine lo imparerò presto».
Un’ultima curiosità: lei si sente integrato nella comunità tedesca oppure è considerato uno straniero?
«Non sono perfettamente integrato, anche perché, come le dicevo, frequento tanti italiani e la comunità italiana nel Saarland è molto numerosa: spesso esci e non senti una parola in tedesco. I vicini sono stati prima un po' diffidenti perché tanti nostri connazionali, ma questo però accadeva negli anni passati molto più di adesso, spesso hanno fatto danni: si ubriacavano, spaccavano locali, facevano risse. Poi, quando hanno visto che lavoro onestamente, che mi comporto in modo dignitoso, hanno cominciato a salutarmi gentilmente. Forse la mia perfetta integrazione non è avvenuta per colpa mia. Vorrei dire agli italiani che leggeranno questa mia intervista di essere tolleranti e accogliere bene quei migranti che scappano dalla fame, dalla miseria e dalla guerra per arrivare in Italia alla ricerca di un lavoro. Ecco, forse questa è stata la più grande lezione di vita che ho ricevuto dalla mia emigrazione. Il capire che le frontiere non dovrebbero esistere, che siamo tutti uguali e che il mondo è di tutti. Dovrebbe esserci un mondo più giusto, dove ognuno di noi potrebbe vivere nella terra dei suoi padri e non dover scappare via in un Paese, magari ricco, magari accogliente, magari meglio organizzato, ma che non sarà mai il suo Paese».
(articolo pubblicato sul numero 107 del 'Corriere della Calabria')