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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Dai sorrisi e dalle parole della delegazione vibonese a Roma pareva fosse andato tutto bene. Anzi, neanche il tempo di finire la riunione con sottosegretari e funzionari vari, che già qualcuno tra i presenti si era messo all'opera per diramare un comunicato stampa dal sapore finalmente dolce.
Cantavano vittoria. Parlavano di «importante risultato, che rappresenta solo l’inizio di una serie di procedure che acconsentiranno la ripartenza della macchina amministrativa della provincia di Vibo, che potrà riprendere la propria attività». Sospiro di sollievo per 380 dipendenti in attesa atavica di stipendio e sospiro di sollievo per gli stessi amministratori, usciti finalmente dal buio delle loro incompetenze. Del resto, lo sapeva bene Andrea Niglia che «senza sordi, missi...».
Dovevano sbattere i pugni, pretendere rispetto, mettere Roma a ferro e fuoco. Lo avevano annunciato prima di partire, minacciando – in caso l'esito della riunione non si fosse rilevato proficuo – di dimettersi in massa il giorno dopo.
Ma a casa sono ritornati a mani vuote. Come sempre.
Adesso, quello che è successo appena 24 ore dopo l'annuncio di vittoria, non solo ha praticamente ribaltato la situazione, ma ha prodotto in chiunque conservi ancora un minimo di intelligenza un sentimento di scoramento misto a profonda rabbia.
Perchè tanta voglia di prendere le persone per il culo? A che pro? Non è più facile assumersi le proprie responsabilità o, nel caso davvero non ce ne siano, alzare le mani e dimettersi davvero? È bastata, infatti, una sola parola da parte di un sindacato («risposte assolutamente insoddisfacenti», Bruno Scipano Fp-Cgil) per riportare tutti sul pianeta terra e costringere immediatamente i delegati politici vibonesi a fare retromarcia per sconfessare se stessi.
Non più un «importante risultato ottenuto», ma «rassicurazioni insufficienti per la soluzione della problematica» (Andrea Niglia) e «la strada è ancora lunga per la risoluzione definitiva» (Bruno Censore). Lasciando perdere Niglia, sulla cui insipienza politica è inutile dilungarsi ulteriormente – anche se è utilissimo invece ricordare ai lettori come lo stesso sia in realtà il prodotto di una legge (la 7 aprile 2014 n. 56, cosiddetta Legge Delrio) che mette a capo degli enti intermedi persone non votate dai cittadini, ma scelte da gruppi di potere consorziati per le occasioni –, sarebbe bene capire quale funzione reale svolge un deputato, lui sì eletto con i voti della gente, come Bruno Censore. Al tavolo di qualche giorno fa si era seduto pure lui. Aveva deciso di accompagnare l'allegra delegazione vibonese come se fosse un padre, uno di quelli che ama tutelare e difendere la propria famiglia, il proprio territorio.
Ci si chiede cosa abbia fatto da tanti anni a questa parte il beneamato onorevole serrese per Vibo Valentia. Ci si chiede quale intervento risolutivo abbia mai prodotto la sua politica. Ci si chiede se serva davvero una persona come lui a rappresentare le istanze del territorio, di quel territorio che lo ha sempre eletto a suon di preferenze. Ma soprattutto ci si chiede perchè Bruno Censore quando parla e dice qualcosa lo fa in maniera noiosamente retorica, tanto da far venire il disgusto per le tante volte che ha ripetuto le stesse identiche parole. «Servono risorse», «servono aiuti», «servono risposte», «servono sacrifici», «servono misure straordinarie», «si deve», «parleremo», «urge sapere la verità».
Ma c'è davvero bisogno di gente inconcludente come lui, che non ha mai risolto niente, che non ha mai concluso positivamente una vertenza, che se si è interessato dei problemi è stato solo per dovere istituzionale? Ma i politici vibonesi altrimenti per quale motivo vengono eletti e mandati a Roma? A Vibo Valentia la fame continua e questi personaggi raccontano barzellette. Solo che non ride più nessuno. Il tutto senza mai nessuna vergogna. Perchè Censore verrà ancora a chiedere voti quando sarà il tempo. Verrà e dirà per l'ennesima volta: «Se io vado a Roma non è per me, ma per voi». Censore e Niglia sono due faccia della stessa medaglia. Il primo è stato scelto dal popolo, il secondo dalla classe dirigente. Il primo non ha mai fatto niente, il secondo non sembra in grado di fare niente. O almeno, i fatti, ad oggi, sembrano dire questo.
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