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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
La rassegna tropeana è stata davvero un successo. Per il secondo anno consecutivo si è deciso di affiancare un festival al premio letterario nato sette anni fa. Come l'anno scorso, a organizzare tutto è stato il Sistema bibliotecario vibonese (ente capofila del progetto, inserito nell'ambito di “Calabria Terra di Festival”) e – come da tradizione, per quanto concerne il premio – dall'Accademia degli Affaticati. A patrocinare l'evento sono stati anche diversi Comuni del vibonese e alcuni privati, ma il grosso del finanziamento è arrivato dalla Regione, che ha destinato alla manifestazione, alla luce dei risultati di un bando pubblico, fondi provenienti dai Por Calabria Fesr 2007/2013.
Una scelta politica, nel senso più alto del termine, lo ribadisce ancora l'assessore regionale alla Cultura: «La circostanza che una regione italiana abbia assunto la promozione della lettura come priorità politica è un segnale importante per il resto d’Italia». Insomma, al di là della sfrontatezza creativa di Caligiuri, i propositi sono comunque lodevoli e, in gran parte, lo sono stati anche i risultati. Peccato, però, che la presenza dell'assessore non sia stata proprio discreta. Nei giorni del festival, l'eccentrico ex sindaco di Soveria Mannelli non si è mosso esattamente in punta di piedi. Non se n'è stato, per così dire, in disparte. Non ha scelto il profilo basso. Dalla giornata inaugurale, iniziata con «un incontro piacevolmente seguito – informa una nota del TropeaFestival – fra l’assessore Mario Caligiuri, i vertici organizzativi della manifestazione e una quanto mai attenta platea composta da una fitta rappresentanza di studenti calabresi», fino alla serata conclusiva, quando ha voluto essere lui a consegnare – sprizzante gioia istituzionale e a favore di fotografi e telecamere – il premio Tropea a Vito Teti, docente di etnologia all’Università della Calabria e scrittore, che con il suo “Il Patriota e la maestra” (Quodlibet, 2012) ha sbancato la concorrenza di Edoardo Albinati (Vita e morte di un ingegnere, Mondadori, 2012) e Benedetta Palmieri (I funeracconti, Feltrinelli, 2011).
L'assessore regionale sembra avere il dono dell'ubiquità, non gli manca mai la frase a effetto da lanciare alle platee di studenti che hanno partecipato al festival e, particolare non di poco conto, ha praticamente perso l'uso della prima persona singolare a favore dell'espressione «il presidente Scopelliti e la sua giunta», che – se ne saranno già accorti tutti i calabresi – ha tra le sue priorità l'aumento del numero dei lettori in Calabria: «Per noi, una missione».
E di missione, in effetti, si è trattato. Vale la pena chiarire che qui non si vogliono gettare ombre su un evento che di certo è stato riuscitissimo e molto partecipato. Che ha portato in Calabria, e nel Vibonese, decine di giornalisti, scrittori, appassionati di letteratura e non solo. C'è stato un grande lavoro, rimasto, questo sì, davvero nell'ombra, di decine di ragazzi che si sono fatti in quattro per allestire incontri, convegni, concerti. Alcune serate sono state memorabili, come quella che ha visto protagonista Cristina Donà, o il racconto – ad adolescenti molto attenti – del dark a Milano negli anni 80, o gli incontri tra giornalisti – diversi quelli del leggendario “Mucchio selvaggio” – e artisti d'eccezione come Monica Demuru e David Riondino, o il “giorno da pecora” vibonese di Claudio Sabelli Fioretti, o il reading sull'epistolario La Cava-Sciascia, o Fabio Mollo che spiega il suo “Il Sud è niente” ai ragazzi delle scuole, o l'iniziativa in carcere, e quelle con i magistrati Mario Spagnuolo e Nicola Gratteri. Insomma, a voler fare un elenco si rischia di sottovalutare molti dei 60 appuntamenti che hanno riempito – anche troppo – i cinque giorni del festival e che hanno fatto registrare migliaia di presenze. È un fatto incontrovertibile che sia stato creato un precedente, un marchio di grande attrattività da spendere per consolidare una realtà culturale di livello nazionale.
Però c'è da mettere qualcos'altro, sul piatto della bilancia. Al di là dell'ironia sul presenzialismo di Caligiuri, delle polemiche sulle pressioni preventive che lui stesso – stando a quanto dichiarato dall'ex direttore artistico del festival, Maria Faragò – avrebbe fatto per “spostare” il taglio del festival più a destra rispetto agli anni passati, della defezione della presidente del comitato tecnico-scientifico, Isabella Bossi Fedrigotti, dovute a un problema familiare ma anche – lo ha confermato lei stessa al Corriere della Calabria – a un disagio maturato negli anni che la porterà probabilmente a rassegnare le dimissioni, c'è da riflettere proprio sul rapporto tra cultura e potere, a queste latitudini.
I confini tra evento culturale e propaganda politica, infatti, sono sempre labili, e il problema certamente non riguarda solo la parte politica che oggi governa la Regione. In tutti gli eventi di questo genere, in Calabria, non c'è mai stata piena autonomia degli “operatori” della cultura rispetto alla politica, è un fatto anche questo. Ma, per essere chiari, quando si diffondono le foto dell'assessore in mezzo ai ragazzi, accompagnate dalla didascalia «Caligiuri sprona gli studenti delle scuole superiori», si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte a delle pose così inconsapevolmente caricaturali da sembrare la parodia della classe dirigente di una qualsiasi repubblica delle banane. In alcuni casi, con i dovuti distinguo ma in maniera irresistibilmente comica, sembra che si ricalchi il linguaggio e l'immaginario della propaganda culturale fascista, quella in cui si poteva vedere Mussolini – «anche lui un maestro», scrivevano i giornali dell'epoca – correggere i dettati dei bambini delle elementari e incoraggiarli a studiare. Tanto più che le lectiones magistrales, tenute di fronte a tantissimi studenti, sono state affidate a due intellettuali marcatamente di destra come Giordano Bruno Guerri e Marcello Veneziani.
Se è vero che la storia, come notava Marx, si presenta la prima volta come tragedia e la seconda come farsa, l'accostamento alla propaganda fascista, ai suoi aspetti più ridicoli e demenziali, sarà forse esagerato, senza dubbio provocatorio, ma non del tutto campato in aria; e poi, chissà, magari potrebbe addirittura risultare gradito, oltre che ai due scrittori appena menzionati, anche all'intestatario principale dell'espressione prediletta da Caligiuri.
(pubblicato sul Corriere della Calabria n. 127)
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