Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Tra le carte e i documenti dell’Archivio storico del Comune di Serra San Bruno che stanno venendo alla luce grazie al progetto di recupero avviato dall’Amministrazione e che il Vizzarro racconta e valorizza nella rubrica “li Stuori” ve ne sono alcuni all’apparenza meno “interessanti” – elenchi, liste e registri – in cui non ci sono “storie” in senso stretto, ma soltanto nomi e numeri. Si tratta di materiale importante che deve essere interrogato perché permette di delineare il contesto entro il quale le storie, quelle “affascinanti”, si svolgono e trovano senso: mastro Bruno povero e malato, del quale abbiamo letto in un recente articolo di Sergio Pelaia, non è semplicemente la storia di Mastro Bruno, ma una storia che si svolge all’interno e in correlazione con le storie degli altri, dei suoi concittadini e più in generale della comunità di cui egli è parte. Questo genere di documenti permette di ricostruire, almeno in parte, quelle storie e quella comunità. Un esempio eloquente, in tal senso, è il Ruolo del Focatico del 1880.
Il Focatico
Il Focatico o Tassa di Famiglia fu un’imposizione fiscale comunale introdotta nel 1868 con una legge che conferiva ai Comuni la facoltà di imporre un tributo sui “focolari”, ossia su quelli che oggi chiameremmo nuclei familiari, sulla base della loro “agiatezza”. Si trattava di una forma di tassazione che rifletteva il clima sociale, culturale e giuridico dell’epoca, all’interno del quale la famiglia, pur non essendo individuata come soggetto giuridico autonomo, era comunque considerata come un’organizzazione gerarchica di natura patriarcale al cui vertice stava il capofamiglia, riferimento degli interessi del nucleo familiare e suo unico rappresentante nei rapporti con lo Stato e l’autorità pubblica. In questa prospettiva, i redditi di ciascun membro della famiglia stessa erano considerati fattori di agiatezza del nucleo familiare inteso come unità, e su questa agiatezza veniva applicata l’imposizione fiscale dovuta dal capofamiglia. Si trattava, dunque, di una tassa che non gravava sui redditi delle persone fisiche, ma aveva come termini e ambiti di riferimento la famiglia da un lato e l’agiatezza della stessa dall’altro. Il Focatico fu mantenuto, con diverse modifiche, fino al 1973, quando si affermò definitivamente il principio che la famiglia non può essere considerata un autonomo soggetto d’imposta.
Il Focatico veniva applicato in maniera progressiva, ripartendo i nuclei familiari in classi contributive distinte individuate secondo criteri stabiliti a livello provinciale e ratificati dallo Stato. Alcune famiglie indigenti – poche, per la verità – erano esenti dal tributo, che poteva variare molto da provincia a provincia: nei comuni fiorentini con più di centomila abitanti, ad esempio, si poteva arrivare a pagare fino a 800 lire l’anno (equivalenti a circa 5200 euro attuali). Per Serra, nel 1880 si partiva da 2 lire annue (poco meno di 8 euro) per la classe più bassa e si giungeva a un massimo di 40 (160 euro circa). Possono sembrare poca cosa, ma in realtà l’imposizione suscitò spesso reclami, anche a Serra, dove nel 1880 vi furono famiglie che contestarono anche imposizioni di 20 e 10 lire. Nuclei familiari diversi che abitavano sotto lo stesso tetto venivano considerati separatamente, anche se erano tra loro imparentati (si diceva che erano fumi dello stesso fuoco) e così pure i figli che avevano a disposizione fonti di reddito proprie e le persone che vivevano da sole. L’aspetto controverso del Focatico è dovuto al fatto che la nozione di “agiatezza” adottata per ripartire le famiglie in classi contributive, essendo alquanto indefinita, garantiva ampi margini di discrezionalità alle amministrazioni locali. L’agiatezza di un nucleo familiare poteva essere calcolata sulla base delle entrate, delle spese, dei componenti, dei redditi, del tenore di vita o in funzione delle altre imposte dovute, sicché ciascuna Provincia poteva, nel definire i regolamenti, ricorrere ai criteri che preferiva, non di rado scegliendo quelli che permettevano di estendere al massimo la base imponibile, dal momento che il Focatico era uno dei principali tributi grazie al quale i comuni provvedevano a finanziarsi. Questa circostanza impone la prima cautela nella considerazione delle notizie che provengono dai ruoli del Focatico: in essi non si dà misura oggettiva della ricchezza di un nucleo familiare ma piuttosto una valutazione relativa e comparativa. A parità di reddito, un nucleo familiare composto da due sole persone era considerato più agiato rispetto a un altro più numeroso e dunque veniva ascritto ad una classe contributiva più elevata, spesso insieme a famiglie dal reddito anche considerevolmente superiore. Alla vaghezza della nozione di “agiatezza” si aggiungeva poi quella della nozione di “famiglia”. A questo riguardo, bisogna osservare che all’epoca non esistevano le pensioni di anzianità, se non per una ristretta categoria di dipendenti dello Stato, e dunque gli anziani erano a totale carico delle famiglie, con i prevedibili effetti nella determinazione della loro agiatezza. Infine, proprio per l’ampio margine di discrezionalità garantito alle amministrazioni locali e per l’indefinitezza dei termini, il Focatico dovuto poteva essere ridotto (e spesso lo era) grazie a stratagemmi più o meno legali. Tuttavia, pur tenuto conto dei limiti, i dati dei ruoli del Focatico permettono, quando considerati nella loro totalità, di ricavare informazioni importanti sulle dinamiche economiche e sociali di una data comunità e così di formulare conclusioni significative.
Agiatezza e ricchezza
Il Ruolo del Focatico del 1880 elenca in ordine generalmente alfabetico un migliaio di famiglie residenti a Serra (nel 1881 la popolazione totale era di poco più di cinquemila persone) raggruppate in tredici classi contributive. Per ogni famiglia è indicato il nome del capofamiglia, la paternità, il mestiere, la classe di appartenenza e l’importo dovuto. Nei casi di omonimia tanto del nome quanto della paternità spesso si ricorre, senza grandi convenevoli, al soprannome: Francesco fu Giuseppe Pispici; Raffaele fu Bruno Tabacchera; Raffaele fu Domenico Pizzente; Giuseppe fu Francesco Mangiapasta; Giuseppe di Salvatore Birrittino; Domenico di Francesco Smicciato; Raffaele Catinazzo; Giuseppe Appappato; Alfonso Sciabolino ecc. In alcuni casi è indicato il luogo d’origine: Domenico Sorianello; Domenico Simbariano; Michele Spadola. Pochissime sono le donne: una decina in tutto, in genere vedove, donne non sposate, suore, o uniche fonte di reddito che in quanto tali assumevano il ruolo di capofamiglia. Questo non vuol dire che le donne non lavorassero, ma piuttosto che nella stragrande maggioranza dei casi il loro lavoro non era retribuito e dunque non contribuiva significativamente alla determinazione del Focatico. Tra le donne capofamiglia, i mestieri più diffusi sono Panettiera, Filatrice e Dolciera, ma vi sono anche alcune Proprietarie.
La prima e più banale informazione che si può estrarre dai dati, ovviamente, è quella per il quale il Focatico fu pensato: l’agiatezza delle famiglie. Come si vede nel grafico riportato, poco più della metà delle famiglie si trova nella classe più bassa, la tredicesima, e le ultime tre classi arrivano a includere l’80% dei nuclei familiari totali.
Per via di quanto detto sopra, tuttavia, questi dati sono di per sé insufficienti per cogliere l’agiatezza effettiva e il suo rapporto con la ricchezza e i redditi. Un significativo passo in avanti in questa direzione lo si compie incrociando i dati con quelli relativi ai mestieri più diffusi tra i capifamiglia.
I mestieri di Bracciale (Bracciante, denominazione che include i braccianti agricoli, i boscaioli e i carbonai), Ferraio (Artigiano del ferro), Mannese (Maestro d'ascia, costruttore e riparatore di carri), Falegname e Bovaro sono praticati da poco più della metà dei capifamiglia e ricadono sistematicamente nelle classi più basse. Se ad essi si aggiungono mestieri comuni ma un po’ meno diffusi come il Rovaciaro (Artigiano che realizzava contenitori in legno di varie forme e grandezze utilizzati per la conservazione degli alimenti), il Piperniere (Scalpellino) e il Muratore allora si raggiungono percentuali coerenti con quelle relative alle classi contributive. Per dirla in altri termini: nelle classi contributive più basse ricadono le famiglie il cui capofamiglia svolge uno dei mestieri più diffusi, e dunque si può ragionevolmente ritenere che, alla data del 1880, la ricchezza del paese fosse concentrata in poche mani e che i mestieri più praticati fossero poco redditizi. D’altra parte, il caso di Mastro Bruno (anche lui presente nel registro, alla classe dodicesima), costretto in tarda età a ricorrere di fatto all’elemosina pubblica, dimostra come pure un mestiere altamente specializzato come quello del Piperniere fosse lontano dal garantire la stabilità economica attraverso il risparmio.
Mestieri, classi e dinamiche sociali
I dati sui mestieri ci consentono di tracciare un quadro più particolareggiato delle forze produttive che sostenevano l’economia serrese, dei processi di mobilità sociale e delle peculiari dinamiche economiche che si sarebbero pienamente realizzate nel corso del secolo successivo e avrebbero lasciato strascichi importanti sino ai giorni nostri. Con le Ferriere di Mongiana ormai in declino (sarebbero state chiuse definitivamente nel 1881), Serra era una comunità la cui sussistenza dipendeva pressoché interamente dal bosco, dal quale la maggior parte della popolazione traeva di che vivere: dai Bracciali che vi lavoravano ai bovari che si occupavano del trasporto dei tronchi, dalle segherie e dai Segatori agli artigiani legati alla lavorazione del legno e del ferro, intorno ai quali gravitavano artigiani che prestavano la loro opera da “liberi professionisti” e lavoratori non specializzati di solito pagati a cottimo. I salariati a tempo erano pochi e, ricadendo tra l’ottava e la quinta classe contributiva, costituivano così una sorta di classe media, numericamente esigue, fatta di Segatori, insegnanti, impiegati e funzionari, questi ultimi peraltro spesso originari di altri comuni. Al vertice della piramide vi era un piccolo gruppo di professionisti, Proprietari (di segherie, terreni, immobili ecc.), Industrianti (produttori e distributori di carbone, imprenditori del legno, titolari di attività imprenditoriali varie) e negozianti che facilmente “scalavano” le classi.
È già apprezzabile, in questa fase, la specializzazione di alcune famiglie in certi settori artigiani, segno di una efficace trasmissione e conservazione di saperi. Molti Barillari erano attivi con successo nella falegnameria, così come gli Amato; gli Albano erano Rovaciari; i Borello, Segatori; tra i Figliuzzi, i Timpano e i Raghiele si trovavano i Mannesi; i Zaffino, i Giancotti e i Manno si dedicavano soprattutto alla lavorazione del ferro. C'erano i sarti – gli Scrivo, in particolare – e sei macellai, tre Valente e tre Vavalà; una decina di calzolai, come i fratelli Carnovale, e Lomoro il musicante, Amato il pittore, Minichini e Zaffino gli scultori, Alfonso Scrivo e un Barillari intagliatori; poi i Pipernieri, con Mastro Bruno Pelaggi, i Drago e i Pisani, e – nomen omen – i Belcamino, Calcaroli che si occupavano appunto delle calcare, i forni per produrre la calce. È questa l’epoca d’oro della cosiddetta Maestranza serrese, ma uno sguardo più attento ai dati del Ruolo mostra come la tendenza stia già cominciando a invertirsi. La maggior parte di questi mestieri sono relegati nelle classi contributive più basse, ma vi sono significative eccezioni che inducono a ritenere che alcune botteghe fossero già in transizione verso forme d’impresa più strutturate e redditizie. Tre fratelli Barillari, ad esempio, sono inclusi nell’ottava classe e uno nella sesta, segno che probabilmente ormai essi disponevano di un laboratorio dedicato, separato dalle abitazioni e che perciò contribuiva a fare aumentare i rispettivi Focatici. Infatti, anche ammettendo si trattasse di persone non sposate, senza figli e con abitazione propria (cioè di fuochi diversi rispetto ai genitori), pure i dati mostrano che ciò in genere non produceva che un avanzamento di una o due classi; e se d'altra parte avessero avuto rendite addizionali di tipo fondiario sarebbero stati registrati, nel Ruolo del Focatico, non solo come falegnami ma anche come Proprietari. Lo stesso vale per alcune attività di lavorazione del ferro – settore che in questo periodo appare molto vitale – degli Amato, dei Giancotti e dei Grenci. Accanto a tali “eccellenze”, però, c’erano numerose botteghe che evidentemente cominciavano a faticare ad affermarsi nelle dinamiche della nascente produzione industriale e a sostenere la capacità delle imprese più strutturate di attirare e soddisfare la domanda.
La ridotta mobilità sociale è limitata alle classi più agiate di proprietari, negozianti e ai (pochi) dipendenti statali, che possono permettersi di mantenere più a lungo i figli a scuola. La tendenza è quella tipica del Mezzogiorno post-feudale, ossia il passaggio alle professioni: il figlio del proprietario è avvocato, quello del guardiaboschi diventa farmacista (anche se la farmacia, a Serra, era già specializzazione familiare dei Cordiano). Del tutto inesistente è invece la mobilità sociale tra i braccianti, a ulteriore conferma di quanto ipotizzato sopra a proposito della distribuzione della ricchezza: chi svolge un mestiere che sistematicamente si colloca nella classe più bassa ha necessità di far lavorare i figli il prima possibile, ed è per questo che i Bracciali sono il gruppo sociale del quale, nel Ruolo, è possibile tracciare meglio le relazioni familiari. I figli dei braccianti sono quasi invariabilmente braccianti, anche se alcuni vengono avviati alla bottega, soprattutto nella lavorazione del ferro. Per quanto riguarda invece gli artigiani, se la mobilità sociale verso l’alto appare bloccata, si osservano invece sporadici casi di mobilità trasversale, soprattutto verso la lavorazione del ferro, segno dell’inizio di una certa saturazione degli altri settori artigiani. La mobilità degli artigiani verso le professioni e il salariato sarebbe esplosa con la generazione successiva, dando l’avvio alla perdita di saperi e maestranze che, intensificata dalle emigrazioni del secondo Dopoguerra, avrebbe quasi completamente spogliato Serra della sua identità artigiana, lasciandola alla ricerca di una strada da seguire.
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Il patrimonio dell’archivio storico del Comune, come detto sopra, ha un valore che va oltre quello meramente storico. La comunità in cui oggi viviamo, i problemi che questa comunità deve affrontare e le soluzioni che può trovare non sono questioni isolate, ma il prodotto di dinamiche evolutive di lungo periodo che devono essere studiate e conosciute non perché la storia sia maestra di vita, ma piuttosto perché la storia è la vita di una comunità. Documenti come il Ruolo del Focatico sono i piccoli resti fossili che contribuiscono a farci capire chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove andiamo.
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