Bisogna chiedere informazioni a qualcuno che si reca al cimitero a visitare la tomba di un congiunto. Oppure affidarsi alle mappe di google. Se non si è vibonesi e si desidera – per curiosità, interesse turistico o per ragioni di studio – vedere di persona le antiche fortificazioni di età greca che proteggevano la subcolonia locrese di Hipponion, bisogna informarsi per tempo e dettagliatamente. Una volta giunti sul posto indicato, poi, c'è da indovinare l'ingresso al sito. Proprio così, perchè sul cancello arrugginito semichiuso non c'è alcuna indicazione circa il luogo a cui si accede. Superato il timore di invadere una proprietà privata, e tenendosi bene a distanza dai fili che fuoriescono da una cassetta elettrica completamente divelta, si capisce quindi che le famose mura greche sono lì, a testimonianza dei fasti di una città che, oggi, sembra aver smarrito se stessa a tal punto da non fare neanche più caso al degrado in cui versano i suoi luoghi simbolicamente più importanti.
E questo, per assurdo, sebbene sia invaso da erbacce ed escrementi di animali - anche se gli operatori del Museo archeologico lo avevano ripulito nel marzo scorso – è, oltre al tempio di Proserpina nel Parco della rimembranze, l'unico sito archelogico attualmente visitabile in città.
Che Vibo sia un «museo all'aperto», d'altra parte, lo dicono tutti, da anni. Una verità lampante a cui si accompagna spesso la considerazione che, in città,
dovunque si scavi possa venire fuori qualcosa di interessante. E in effetti è così, solo che il museo all'aperto è stato ricoperto da uno strato molto spesso e indurito di indifferenza e incuria. Un situazione di degrado che non riguarda solo lo stato fisico dei punti di interesse storico, ma che ormai ha invaso anche la mentalità degli stessi vibonesi, specie di quelli deputati alla gestione della cosa pubblica.
La classe dirigente degli ultimi decenni, insomma, è ben lontana dai fasti del ceto nobiliare vibonese che, in epoca romana, era diventato un punto di riferimento per Cicerone, per Ottaviano o addirittura per Giulio Cesare. È comunque sempre utile, in proposito, riavvolgere il nastro della Storia per capire la qualità e la quantità dei siti di interesse storico che Vibo custodisce, nasconde e trascura. In località Trappeto Vecchio – dove in seguito furono scavate le mura greche – e in contrada Telegrafo, potrebbero esserci state stazioni litiche di età neolitica. Materiali risalenti all'età del bronzo recente (XIII – XII secolo a.C.) sono stati rinvenuti durante gli scavi della necropoli in contrada Affaccio. Alla prima età del ferro, poi, potrebbero risalire gli strati più profondi scoperti in località Scrimbia, dove è saltata fuori un'area sacra di età greca. Alla fine del VII secolo a.C. furono infatti i locresi ad insediarsi sul pianoro vibonese fondando la città che doveva assicurare uno sbocco commerciale sul Tirreno. Hipponion era una subcolonia di Locri, e anche se oggi non si conosce quasi nulla dell'organizzazione urbana della città greca, sono state rinvenute le aree sacre, la necropoli e un tratto delle mura di cinta. La topografia dell'antica Hipponion fu riportata alla luce da Paolo Orsi, grande archeologo trentino che tra il 1916 e il 1921 scoprì le mura, un tempio ionico al Cofino, un tempio dorico al Belvedere Telegrafo e un tempietto di piccole dimensioni alla Contura del Castello. Molte delle sue scoperte, però, oggi sono cadute nell'oblio.
A Vibo esiste, almeno sulla carta, il Parco archeologico urbano. Già diversi anni fa erano stati espropriati diversi ettari di terreno, altri sono vincolati in attesa di essere espropriati. Il nucleo centrale del Parco, accanto alle mura greche, sarebbe l'area che si trova in località S. Aloe, dove negli anni 70 è stato scoperto un complesso termale di età romana con frigidarium, calidarium e palestra, e alcune domus, tutte risalenti al periodo compreso tra il II secolo a.C. e il V secolo d.C., con pavimenti in mosaici policromi. Un sito molto importante, dunque, che è di competenza del Comune. Se non fosse per un dettaglio non di poco conto: è completamente interrato, quindi al visitatore si presenta solo una zona di campagna con l'erba alta. Un'altra area interessante è quella del Cofino, dove ci sono i resti di un santuario greco con un tempio ionico, vari edifici legati al culto di Persefone e Demetra, il recinto dell'area sacra con un monumentale accesso e la strada lastricata in calcare. Ci sono inoltre diversi siti sparsi un po' ovunque, anche nell'area costiera, nei dintorni del castello di Bivona, dove il suolo pare sia stracolmo di ceramica greca e ancor più di età romana. Quello che stupisce e indigna molti addetti ai lavori è che anche piccole aree disseminate in diversi angoli della città, che sarebbero facili da mantenere curate, sono in realtà in pessimo stato, abbandonate alle intemperie e spesso invase da rifiuti.
È il caso del sito di via Cicerone, scoperto l'anno scorso, e degli scavi che stanno davanti all'edificio che ospita l'Agenzia delle entrate, su corso Umberto I, che da anni dovrebbero essere messi in sicurezza con delle vetrate. Nel Parco delle rimembranze vi è inoltre il basamento di un tempio dorico che potrebbe essere a rischio corrosione e quindi dovrebbe essere protetto con qualche copertura. Poi c'è la zona di Scrimbia, in via Murat, a pochi passi dal duomo di San Leoluca. Qui sono stati rinvenuti cinque possenti muri di contenimento, realizzati in blocchi di calcarenite, e dei resti di un'abitazione di età greca. Ma probabilmente quest'area verrà coperta – i lavori sono in corso – e dunque non sarà più visibile. Al disinteresse delle istituzioni, però, fa da contraltare l'appetito dei “tombaroli”: sono molto attivi e spesso “colpiscono” su commissione della 'ndrangheta. I boss insomma, molto più che gli amministratori pubblici, hanno capito che a queste latitudini il “museo all'aperto” può fruttare parecchi soldi sul mercato clandestino dei reperti archeologici. Maria Teresa Iannelli, direttrice del Museo archeologico di Vibo che ha sede nel castello Normanno-Svevo, spiega come finora è stato il Consorzio di bonifica a fornire supporto per la pulizia e la gestione di alcuni siti, mentre il Comune «è sempre stato totalmente assente». Ora pare che finalmente siano in arrivo i fondi per la realizzazione del Parco urbano, che potrebbero consentire di lavorare su realtà – come quella di piazza Luigi Razza, di proprietà privata – che custodiscono un vero e proprio spaccato storico della città in epoca greca, romana e medievale. Un altro tesoro nascosto che, in questo caso, si spera possa presto diventare patrimonio della comunità.
(articolo pubblicato sul Corriere della Calabria n. 117)