Giovedì, 03 Settembre 2015 16:38

Intervista a Dario Vergassola, finalista del Premio Tropea

Scritto da Redazione
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Riceviamo e pubblichiamo l'intervista a Dario Vergassola realizzata da Carmelina Pontoriero

Continuano le interviste ai protagonisti del Premio Tropea! Carmelina Pontoriero ha intervistato Dario Vergassola, finalista alla IX edizione del Premio con il suo romanzo "La ballata delle acciughe" edito da Mondadori nel 2014. Il comico, cantautore e scrittore italiano, originario di La Spezia, si è dimostrato molto disponibile per l'intervista, con la verve ironica che lo contraddistingue. Come ultima domanda gli abbiamo chiesto se conosceva già il Premio Tropea e quali sono le sue aspettative. Ci ha risposto: "E’ la prima volta che partecipo a un Premio Letterario, già questa per me è una vittoria. Venire giù in Calabria per il Premio è un grande successo. Non conoscevo il Premio ma perché non rientra nel mio ambito professionale, ho presentato il Premio Strega una volta. A me piace tantissimo leggere, ho fatto al contrario perché penso che prima di iniziare a scrivere bisogna leggere tanti libri, ma tanti, tanti… Non si può scrivere senza aver letto, leggere aumenta la qualità della scrittura".

Perché proprio le acciughe?

«Perché in Liguria l’acciuga è un pesce fondamentale. In Liguria viviamo di acciughe. Ma poi perché, siccome i liguri sono tirchi, nei bar le acciughe le davano gratis perché essendo nei vasetti sotto sale poi eri costretto a bere. Addirittura in alcuni bar c’era anche l’uovo sodo. Pensa che a Padova in un’osteria mi hanno dato mezzo uovo sodo con un’acciuga sopra quindi il massimo del marketing».

Com’è stato scrivere questo libro? Meglio scrivere o recitare?

«E’ la prima volta che scrivo. E’ stato molto divertente perché sono molto pigro. Contrariamente a quello che pensavo prima di iniziare è stata una bella esperienza, come ti dicevo mi ha divertito anche perché ho scoperto che quando inizi a scrivere non hai idee e ti vengono in mente cose che se non ti ci metti non penseresti mai. C’è una parte della testa che si attiva soltanto quando inizi a scrivere e riesci a pensare a cose che altrimenti non avresti pensato. E quindi recitare è meno faticoso e più immediato, per scrivere ci metti almeno 4 mesi. Io non mi piaccio in nulla di quello che faccio però mi sono divertito».

Quanto è importante l’ironia nella vita?

«Bhè sai bisogna avercela intanto. Diciamo che se nel carattere c’è una parte di ironia, oltre che di autoironia, riesci ad affrontare anche situazioni difficili in modo diverso. A volte attraverso l’ironia riesci anche ad autoassolverti in circostanze, depressive o drammatiche, dalle quali non sarebbe facile uscire».

Le capita di incontrare spesso nella vita reale i personaggi bizzarri del suo racconto? E lei si riconosce in uno di loro?

«Fondamentalmente si perché vivo in una periferia e quindi i personaggi del bar che descrivo nel libro, un bar di periferia, sono in fondo quelli che incontro anche io. E mi riconosco nel protagonista, Gino, perché è chiaro che nello scrivere si parte da quello che si conosce meglio; i desideri di Gino, parlando di lavoro e di voglia di andare a vedere cose, sono anche un po’ i miei. E’ chiaro che a lui vengono in mente cose che ho in mente io».

Nel libro affronta anche temi complessi come la violenza sulle donne. Cosa direbbe alle tante Giulia che popolano l’Italia e il mondo? Come trovare il coraggio di dire basta?

«E’ orribile quello che succede quasi ogni giorno alle donne, le notizie di morte e di violenza sono in continuo aumento. Io penso che un modo per affrontare tutto sarebbe la presenza di una rete di protezione forte che vada dalla famiglia agli amici, una rete che si deve costruire prima che intervengano i professionisti. Cercare di intervenire per tempo. Perché se un rapporto va male non è colpa della donna che ha scelto quell’uomo, come sai le persone si mostrano in mille modi diversi. Si può sbagliare nella vita, la gente cambia. Questo quindi è importante, far capire a quella donna che non ha colpe e che ha sempre la possibilità di cambiare, di iniziare una nuova vita. In questo credo che sia fondamentale l’appoggio degli amici, di quelli veri. Come poi in fondo accade nel libro a Giulia, quelli sono i suoi amici di infanzia».

Un motivo per leggere La ballata delle acciughe?

«Perché è tra i finalisti del Premio Tropea? Il mio romanzo – lo posso definire così? Mi vergogno anche a chiamarlo romanzo – è assolutamente in buona fede, è una storia dove gli ultimi diventano protagonisti».

Gino al ritorno dal suo viaggio si chiude nuovamente nel suo angolo buio, al “riparo” dalla sua famiglia. Quindi il viaggio non è servito a nulla? E perché l’ultima volontà di Michele è stata quella di far viaggiare Gino?

«(Ridendo) Ma tu hai letto il libro? Oh..mi dispiace tanto…- Parto dall’ultima domanda, bhè perché Michele e Gino forse sono la stessa persona. Serviva un lutto, un evento forte, per far si che Gino si mettesse in viaggio. Per far scattare la molla.  Il viaggio a Woodstock è paragonabile un po’al viaggio verso Santiago de Compostela. E’ un viaggio laico alla ricerca di se stessi. Allontanarsi serve a vedere meglio le cose. Se te ne vai un po’scopri che le cose che dai per scontato in realtà sono preziose. Il viaggio quindi gli è servito, perché Gino scopre che bisogna andare lontano per vedere, da lontano, le cose che da vicino non riesci a vedere bene».

Conosceva già il Premio Letterario Tropea? Che risultato si aspetta e cosa significherebbe per lei vincere questo Premio?

«E’ la prima volta che partecipo a un Premio Letterario, già questo per me è una vittoria. Venire giù in Calabria per il Premio è un grande successo. Non conoscevo il Premio ma perché non rientra nel mio ambito professionale, ho presentato il Premio Strega una volta. A me piace tantissimo leggere, ho fatto al contrario perché penso che prima di iniziare a scrivere bisogna leggere tanti libri, ma tanti, tanti… Non si può scrivere senza aver letto, leggere aumenta la qualità della scrittura».

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