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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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Ormai sono trascorsi 71 lunghissimi anni. Troppi, sì, ma non sufficienti per cancellare il ricordo dell'inferno vissuto dai tanti calabresi deportati nei lager e che, dunque, hanno avuto il coraggio di affrontare la follia del nazifascimo.
Calabresi, dunque. Come lo erano Gerardo Amato e Giuseppe Sorrentino - il secondo dei quali è stato per anni sottufficiale dei carabinieri in servizio a Serra San Bruno - ricordati stamane durante una cerimonia tenutasi nei locali della prefettura di Vibo Valentia dove, in occasione della "Giornata della memoria", il capo dell'Ufficio territoriale del governo, Carmelo Casabona, ha consegnato la medaglia d'onore - prevista dalla legge numero 296/2006 e concessa dal presidente della Repubblica a cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto, per l'economia di guerra, nonchè dei familiari dei deceduti - alla memoria dei due militari provenienti da Serra San Bruno, entrambi deceduti. A ricevere la medaglia, c'erano i figli di Gerardo Amato e Giuseppe Sorrentino - Salvatore e Arnaldo - che, vista la ricorrenza, non sono riusciti a trattenere la commozione per un ricordo che, comunque sia, rimarrà indelebile. Oltre a Salvatore, all'iniziativa erano presenti anche gli altri figli di Amato.
Un vero e proprio inferno, dunque, quello vissuto da Gerardo Amato, la cui storia è stata oggi raccontata dal figlio sul Corriere della Calabria. Nato nel 1911, all'eta di 20 anni era partito per il servizio di leva. Con la divisa dell'esercito addosso aveva girato l'Italia in lungo e in largo, ma quando sembrava che la guerra stesse per finire fu catturato dai tedeschi. Era il settembre del 1943, pochi giorni dopo dall'armistizio e lui si trovava, con il 27esimo Reggimento, sull'isola di Rodi, nel mar Egeo. Quando venne fatto prigioniero dai nazisti con lui c'erano anche altri calabresi: uno in particolare, di Gioiosa Ionica, mentre erano incolonnati per essere imbarcati sulla nave tedesca tentò la fuga, si allontanò dalla fila dei deportati e vedendo che non se ne accorgeva nessuno chiamò i suoi conterranei esortandoli a seguirlo. Gerardo e gli altri calabresi non ebbero nemmeno il tempo di comprendere le sue parole che lo videro cadere a terra, freddato da una fucilata. Il viaggio del militare serrese continuò, dunque, verso un campo di concentramento tedesco. Una volta tornato, Gerardo non raccontò alla sua famiglia tutto quello che aveva vissuto. Così si portò dentro l'inferno per anni, fin quando non ne fu fagocitato lui stesso: perse la lucidità mentale e, lentamente, sprofondò in un abisso di dolore dal quale non riuscì più a riemergere. Fino alla morte, avvenuta il 30 dicembre del 1975.
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