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Non solo poste di bilancio sospette e trasferimenti poco chiari di finanziamenti pubblici.
Non solo ingarbugliate questioni finanziarie e contabili di difficile interpretazione per i non addetti ai lavori. Sono anche di ben altra natura le “stranezze” che nel corso degli anni hanno riguardato le aziende che nel Vibonese si sono occupate della gestione dei rifiuti solidi urbani. La Proserpina, in particolare, in passato è stata anche oggetto degli appetiti di personaggi riconducibili al clan Mancuso, la potente consorteria che esercita il suo potere ben oltre i confini di quella che sotto molti punti di vista – non quello criminale – è considerata una delle province più piccole e marginali del Paese.
È successo in passato, ma alcune circostanze che erano ignote o erano cadute nel dimenticatoio sono tornate di stretta attualità con il deflagrare di alcune recenti inchieste. Non deve sorprendere, dunque, che tra le migliaia di pagine redatte dai magistrati romani e dagli uomini del Ros su Mafia capitale spunti anche la “Proserpina”. Gli inquirenti guidati dal procuratore capo Giuseppe Pignatone hanno infatti ricostruito gli interessi della famiglia Campennì di Nicotera nel settore dei rifiuti. E partendo dalle posizioni di Giovanni – nipote del boss ergastolano Peppe Mancuso “Mbrogghjia” Mancuso, imprenditore che secondo l'accusa avrebbe dovuto curare gli interessi dei Mancuso in Mafia capitale – i militari del Ros sono risaliti al ruolo del padre nella gestione dei rifiuti a Nicotera e San Calogero. Eugenio Campennì, infatti, secondo i carabinieri risultava essere socio della Proserpina fino al 20 febbraio 2001, mentre anche il figlio Giovanni sarebbe stato dipendente della stessa società. L'azienda di cui è titolare la moglie di Giovanni, invece, ha noleggiato mezzi per la raccolta dei rifiuti a molti enti pubblici, tra cui anche la Provincia e il Comune di Vibo.
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