Martedì, 15 Marzo 2016 15:24

Trasversale, tempi lunghi e costi lievitati: l’Anticorruzione accende i fari sulla Serra-Chiaravalle

Scritto da Redazione
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Tempi lunghi e costi lievitati in maniera spropositata. È questo il succo, o meglio uno degli aspetti più rilevanti, che emerge in un dossier stilato nello scorso gennaio dall'Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione presieduta dal magistrato Raffaele Cantone, rispetto allo stato dell’arte su una delle “fette” più importanti della Trasversale delle Serre: il tratto Serra San Bruno-Chiaravalle Centrale.

Un’infrastruttura presentata ufficialmente per la prima volta ormai mezzo secolo fa, completa, anzi incompleta, ancora a singhiozzo, e che proprio nel tronco in questione trova l’emblema più esplicito. Secondo quando riportato oggi dal Corriere della Calabria, con una deliberazione del 8 gennaio 2016 (mai resa pubblica dall'Anas), venivano poste in evidenza una serie di “particolari” secondo i quali la gestione dell’appalto del tratto Serra-Chiaravalle sarebbe risultata «disfunzionale», tale da generare «un notevole incremento del costo finale delle opere, non ancora definito, oltre alle diffuse carenze progettuali».

L'appalto in questione è, dunque, quello relativo ai tronchi IV “Chiaravalle – Bivio Montecucco” e IV bis “diramazione per Serra San Bruno”, lungo circa 21 chilometri per un importo complessivo lordo superiore ai 215 milioni di euro (oltre 10 milioni di euro a chilometro). Attraverso una procedura di «licitazione privata – riporta il Corriere – i lavori sono stati aggiudicati all'Ati “Impresa SpA. (mandataria)-P.I. Rabbiosi spa.-S.I.G. srl- Tecnovese spa”», il cui titolare risultava essere, ai tempi, l'ingegnere Antonio Longo, assassinato il 26 marzo del 2008 sulla Strada dei due mari in circostanze tuttora rimaste poco chiare. 

La sottoscrizione era avvenuta il 7 giugno 2005, ormai 11 anni fa. In seguito, in data 22 giugno 2015, «il Responsabile del procedimento dell'Anas, aveva poi comunicato che l'Amministrazione straordinaria di “Impresa spa”, al termine dell'iter svolto dal Ministero dello Sviluppo Economico, ha ceduto il ramo d'azienda alla Impresa “Franco Giuseppe srl” di Roccella Jonica». La durata dell'appalto era stata inizialmente fissata in 727 giorni, anche se poi erano state concesse svariate proroghe per un periodo superiore al doppio a quello inizialmente pattuito (1868 giorni, riporta ancora il Corriere). Ma, ad oggi, i lavori non sono ancora terminati, anche e soprattutto perché negli ultimi giorni si è registrato un nuovo stop al cantiere, motivato assai genericamente dall’Anas come causato da «problemi contrattuali» riconducibili, probabilmente, proprio ai rilievi mossi dall'Autorità anticorruzione.

Secondo la stessa Anac, nel complesso delle procedure poste in essere in questi anni, sarebbe emersa la violazione da parte dell’impresa dei principi di correttezza e buone fede, evidente in alcuni passaggi, come quelli inerenti a presunte commistioni tra la prima perizia di variante e il primo accordo bonario. Così come ammissibile non sarebbe apparso il pagamento all’impresa della progettazione in corso d’opera, concernente invece le funzioni del direttore dei lavori.

Rivedibili, secondo l’Anticorruzione, sarebbero anche le valutazioni rispetto ai tempi troppo lunghi dell’accordo bonario, che avrebbero potuto essere effettuate anche da professionalità interne all’Anas. Il protrarsi dei cantieri avrebbe, di conseguenza, fatto lievitare i costi da versare all’impresa: «l'Anas, infatti, avrebbe continuato a pagare le rate del secondo accordo nei termini convenuti nonostante i ritardi dell'appaltatore nell'esecuzione dei lavori, ma ha contestualmente mantenuto un comportamento di attesa nei confronti dell'appaltatore principale fino all'avvicendamento con l'appaltatore locale che ha acquisito il ramo di azienda». Ecco allora che i costanti rinvii rispetto alla data di consegna dei lavori, avrebbero rappresentato una «una sorta di rendita» per l'appaltatore.

«L'appalto – scrive in conclusione l'Anticorruzione – è stato caratterizzato da molteplici lacune di natura progettuale, di esecuzione e di gestione dell'appalto, ciascuna delle quali di per se non decisiva ma nell'insieme tali da determinare un abnorme incremento delle opere e la notevole protrazione del tempo contrattuale». Sarebbero stati, di conseguenza, «disattesi i principi di buona amministrazione di cui all'art.2, comma 2, del d.lgs. 163/2006 (già dell'art.2, l. 109/1994)». «Sta di fatto – sostiene l'Anac – che l'amministrazione (l'Anas, ndr) ha assecondato eccessivamente le difficoltà dell'appaltatore». Infine, nella relazione viene «evidenziata una gestione disfunzionale dell'appalto che ha generato una notevole incremento del costo finale delle opere, non ancora definito, oltre alle diffuse carenze progettuali». 

L'Anac stessa, sulla base di tali rilievi, ha inviato il provvedimento all’attenzione della Procura della Repubblica e alla Procura della Corte dei Conti.

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