Giovedì, 05 Febbraio 2015 13:27

Quella lunga scia di intimidazioni che non fa più notizia

Scritto da Salvatore Albanese
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Un territorio difficile caratterizzato da dinamiche violente, a volte brutali. In ballo ci sono interessi da centinaia di migliaia di euro, forse milioni. E a poco, ne siamo certi, potrà servire l’interrogazione parlamentare presentata in queste ore dalla deputata Cinque Stelle, Dalila Nesci, indirizzata al ministro Alfano, per tentare di ottenere finalmente interventi mirati per la “zona calda delle Serre calabre”, a garanzia «della sicurezza personale e familiare, e per la ripresa delle attività» di quegli imprenditori che subiscono atti intimidatori.

Un disperato SOS indirizzato al Viminale ad una manciata di ore di distanza da quello che è soltanto l’ultimo dei tanti casi di intimidazione registrati in questi ultimi mesi a danno di imprese operanti nelle Serre vibonesi, dove – così pare – la remunerativa tecnica scandita dalle regole del circuito del racket, non è mai passata di moda. Questa volta, a Fabrizia, sono state le campagne di località “Cellia”, nella serata di sabato scorso, ha impregnarsi dell’odore acre sprigionatosi da un incidendo di evidente natura dolosa. Una pila di fumo inquietante, liberatasi in cielo direttamente dall’interno del capannone di un cementificio di proprietà di un giovane imprenditore, Cosimo Demasi, costretto, a fiamme spente, a cimentarsi nella mortificante conta dei danni subiti: due betoniere, un’autobomba e un veicolo per il trasporto inerti. Tutti completamente distrutti, ingoiati dal rogo.

Un nuovo incendio, insomma, che va a “riscaldare” il lungo inverno delle Serre, a poche settimane di distanza da un altro attentato intimidatorio, che solo il 10 gennaio scorso aveva interessato il mobilificio di Vallelonga dei fratelli Antonio e Fortunato Luca, e che già negli anni prima era stato oggetto di ingenti danneggiamenti. Per i due casi le dinamiche – almeno secondo quanto riportato dagli inquirenti – sembrano essere analoghe: favoriti dal buio della notte, i “piromani”, forzando dei punti di accesso, si sarebbero guadagnati il libero ingresso negli stabili. Dopo di che solo fumo e fiamme ad avvolgere centinaia di migliaia di euro di anni di lavoro, di progetti, di sudori, di speranze andate perdute.

È stato così, nell’ottobre scorso, anche per alcuni mezzi impiegati nei lavori per il completamento di un tronco dell’eterna Trasversale delle Serre, all’altezza dello svincolo di “Monte Cucco”, tra i comuni di Simbario e Vallelonga. Nei cantieri allestiti dalla ditta Cavalleri di Diamante, furono addirittura cinque gli automezzi distrutti. E poi, ancora dopo, il 19 dicembre scorso, a Serra San Bruno, i proiettili sparati all’indirizzo di un furgone dell’azienda napoletana impegnata nei lavori per il recupero dell’ex carcere mandamentale comunale, destinato ora a diventare un Museo Pinacoteca grazie all’impiego dei fondi comunitari Pisl-Calabria.

Una catena spaventosa di intimidazioni esplicite registrate nel giro di soli tre mesi e mezzo: la media di una ogni venti giorni insomma. Fatti gravi a cui si aggiungono i numerosi casi di incendio a danno di autovetture private, alcune di queste anche di proprietà di sindaci ed amministratori. Un’ondata di violenza che non ha più neanche la forza di inquietare, di generare allarme, spavento. Quasi come se in Calabria determinate condotte fossero divenute ormai una routine consolidata, fatti all’ordine delle cronache quotidiane o che comunque si consumano lenti nella superficiale e sbrigativa attenzione dei media: un servizio in onda al telegiornale locale, due colonne sui quotidiani, i racconti dei curiosi di passaggio nei pressi del “luogo del delitto”, la solidarietà scarna del politico di turno riassunta in quattro righe di freddi comunicati stampa pro forma. Nulla più. Tutto si infrange contro una barriera di silenzio che drena quello che non ha più neanche la forza di mantenersi notizia almeno per tre giorni consecutivi. La criminalità non molla la presa, anzi, dopo periodi di calma apparente ritorna più prepotente di prima, emerge in tutta la sua crudezza. Quello che riusciamo a vedere, forse, è solo la punta di un iceberg, di un sistema gigante, certamente complesso, ma che di sicuro il silenzio non potrà mai scalfire.

 

 

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