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I funerali di Pantaleone Mancuso, in forma privata e senza corteo funebre, si sono tenuti all’alba di oggi. Il boss detto “Vetrinetta” era morto attorno alle 23.00 di sabato scorso, a 68 anni, all’interno dell’ospedale civile di Tolmezzo, in provincia di Udine, dove era stato trasferito direttamente dal penitenziario sito nello stesso Comune friulano.
Gli avvocati di Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta”, alcuni giorni prima avevano formulato un’istanza – rigettata in seguito all’esame della certificazione medica – di incompatibilità con il regime carcerario al quale era sottoposto.
Ora, un analogo procedimento ha interessato il fratello maggiore, Antonio Mancuso, considerato il numero uno dell’omonimo clan di Limbadi. Secondo quando diffuso dall’Agi, infatti, anche per Antonio Mancuso, attraverso il legale Francesco Stilo, sarebbe stata formulata al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, un’istanza di sostituzione della misura cautelare, anche in tal caso, per il presunto aggravamento delle condizioni di salute.
I giudici vibonesi, però, in seguito all’esame della documentazione medica, hanno rigettato la richiesta così come aveva quindi fatto in precedenza il gip di Catanzaro per il fratello Pantaleone, in quanto «non emerge alcuna incompatibilità con il regime carcerario e le patologie da cui è affetto Antonio Mancuso».
Il boss, uno dei principali imputati del procedimento “Black money”, risulta già condannato a conclusione dei processi “Dinasty 1 e 2”, e resterà adesso sotto controllo e in costante monitoraggio specializzato, all’interno del carcere di Opera a Milano.
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