Venerdì, 09 Aprile 2021 12:38

Le petroliere di mezzo mondo sulla costa degli Dei e l’intreccio tra i fratelli D’Amico e la politica vibonese

Scritto da Redazione
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Un’indagine complessa, da cui emerge ancora una volta la consistenza dei rapporti tra le principali mafie italiane laddove c'è da gestire denaro e potere. Parecchio denaro, con la provincia di Vibo Valentia che si conferma epicentro di interessi tutt'altro che cristallini.

LE PETROLIERE DI MEZZO MONDO SULLA COSTA DEGLI DEI Nelle carte dell’inchiesta relativa all’operazione congiunta delle Procure antimafia di Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria, denominata “Petrolmafie Spa”, si legge infatti che il clan Mancuso di Limbadi, attraverso gli imprenditori Antonio e Giuseppe D’Amico, avrebbe voluto trasformare la costa degli Dei in una raffineria dove far scaricare le petroliere di mezzo mondo. L’obiettivo era di aprire un canale di approvvigionamento di carburante proveniente da un gruppo petrolifero internazionale, da distribuire in particolare nella provincia vibonese attraverso il supporto del clan, che avrebbe dovuto garantire le condizioni affinché la società straniera venisse favorita nell’acquisizione di numerose stazioni di servizio a cui apporre il proprio marchio e quindi di distribuire su vasta scala - in un regime di sostanziale oligopolio - il proprio prodotto. Questo avrebbe comportato un considerevole ritorno economico per le casse della cosca che a tutti gli effetti sarebbe entrata in società - attraverso i D’Amico - con un’azienda internazionale. Un piano ambizioso, che passa dalla costruzione di un oleodotto, con annesso deposito costiero, nella zona industriale di Porto Salvo, al fine di favorire l’attracco di navi di grosso cabotaggio per lo sversamento in loco del prodotto petrolifero, così da giungere al controllo a monte della distribuzione poi del prodotto su larga scala.

I COLLEGAMENTI TRA I D’AMICO E LA POLITICA VIBONESE Gli interessi dei fratelli D’Amico, però, si estendevano anche al mondo della politica visto che, in più occasioni, avrebbero ostentato la propria vicinanza all’attuale presidente della Provincia di Vibo Valentia e sindaco di Stefanaconi Salvatore Solano, che però non è coinvolto nell’inchiesta. Vicinanza derivante dal rapporto di parentela che legava i D’Amico a Solano, loro primo cugino. «Effettivamente - si legge nelle carte - la sussistenza di tale relazione di conoscenza e frequentazione era suffragata dall’attività investigativa, atteso Solano risultava avere frequenti contatti telefonici con i fratelli D’Amico, con cui si incontrava anche in svariate occasioni». Giuseppe D’Amico, in particolare, si sarebbe impegnato a procacciare voti per il «cugino» Solano nei comuni di Vibo Valentia, Capistrano, Filandari, Francica, San Nicola da Crissa e Tropea in vista delle elezioni a presidente dell’ente dell’autunno 2018. Il 4 ottobre dello stesso anno, gli inquirenti intercettano una conversazione tra Giuseppe D’Amico e Antonio Mondella, imprenditore edile, all’epoca vicesindaco di Francica. «Come sei messo? Presidente della Provincia? (…) perché c’è mio cugino, Solano, di Stefanaconi» chiede D’Amico a Mondella, che risponde: «e siamo là, poi ci vediamo e parliamo». Nel corso della telefonata, D’Amico non mancava di screditare “De Nisi”, riferendosi verosimilmente a Francesco De Nisi, ex presidente della Provincia di Vibo Valentia. Poco dopo D’Amico, secondo quanto si legge nelle carte dell’inchiesta della Dda di Catanzaro, chiama Francescantonio Tedesco, all’epoca consigliere comunale di Vibo Valentia, per informarlo della candidatura del cugino, specificando che aveva bisogno del suo sopporto elettorale. «Ti volevo solo dire che il candidato alla provincia è mio cugino… di sangue… Salvatore Solano». «Auguri a lui» risponde il consigliere ridendo, provocando subito la risposta di D’Amico: «Ma senza di te che auguri a lui… auguri al ca**o … che facciamo coglioneggiamo?». Tedesco rassicura l’interlocutore: «Auguri a lui tranquillo… sì sì là siamo noi tutti là».

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