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Il gip del tribunale di Catanzaro, Assunta Maiore, ha disposto la scarcerazione per l'ex maresciallo dei carabinieri di Sant'Onofrio, Sebastiano Cannizzaro, in carcere da quasi un anno nella struttura di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, perchè accusato di aver favorito il clan dei Patania di Stefanaconi nella conduzione di alcune indagini sulla consorteria mafiosa del piccolo centro alle porte di Vibo.
Il giudice, quindi, ha accolto la richiesta presentata dagli avvocati Pasquale Patanè e Antonio Pontoriero, difensori dell'ex sottufficiale dell'Arma.
Nell'inchiesta “Romanzo criminale” contro i presunti affiliati del clan Patania, portata a termine dai carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia, coordinati Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, oltre a Cannizzaro è rimasto coinvolto anche il sacerdote di Stefanaconi, don Salvatore Santaguida. Entrambi, in sostanza, avrebbero, con ruoli differenti, operato in modo tale da favorire esponenti del clan.
In base a quanto si legge nel provvedimento, in sostanza, la condotta di Santaguida era «pienamente e completamente collegata a quella del maresciallo Cannizzaro nel senso che quanto riferito dal parroco ai Patania non costituiva frutto di patrimonio conoscitivo proprio, quanto, invece, di conoscenze "de relato", siccome provenienti da Cannizzaro nel corso degli incontri ovvero dei colloqui telefonici».
Secondo il gip, inoltre, «il quadro probatorio nei confronti dell'ex maresciallo può considerarsi cristallizzato in quanto nei suoi confronti è stata esercitata l'azione penale e ha posto in evidenza l'insussistenza della reiterazione del reato in quanto l'indagato non potrà più tornare a svolgere il ruolo precedentemente ricoperto neppure presso altre sedi di servizio, avendo appunto perso il grado e risultando, allo stato, un militare che tra l'altro ha già avanzato domanda di pensionamento».
Cannizzaro, inoltre, è accusato anche dei reati di omissione d'atti d'ufficio, in relazione a denunce-querele non trasmesse all'autorità giudiziaria e di aver omesso la comunicazione delle armi sequestrate e di cui era stata già ordinata la distruzione da parte dell’autorità giudiziaria. Nello specifico, l'ex maresciallo dei carabinieri, radiato dall'Arma, non avrebbe comunicato all’autorità giudiziaria più di cento denunce-querele, impedendo di fatto ai magistrati di venire a conoscenza delle notizie di reato e di impartire eventuali deleghe d’indagine finalizzata a raccogliere elementi di prova.
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