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VIBO VALENTIA – Dalle minacce di stupro, ai pestaggi selvaggi, fino ad arrivare addirittura alle minacce di morte rivolte ai bambini.
Sono queste alcune delle rivelazioni raccontate dalla testimone di giustizia e vittima di usura, Francesca Franzè che, nella giornata di ieri, ha deposto dinanzi al Tribunale di Vibo nel corso del processo nato dall'operazione “Black Money”, scattata nel marzo di due anni fa contro presunti affiliati del clan Mancuso di Limbadi, accusati a vario titolo di associazione a delinquere, riciclaggio, intestazione fittizia di beni, estorsione, usura, il tutto con l'aggravante delle modalità mafiose.
La Franzè, imprenditrice assieme al marito, Giuseppe Grasso, secondo quanto riferito dall'Agi – ha raccontato ieri a giudici i metodi coercitivi ai quali si affidavano gli esponenti del clan per intimidire i due imprenditori: «Abbiamo pagato al clan Mancuso cifre esorbitanti per migliaia di euro di interessi ad usura su un prestito di 40mila e siamo stati costretti ad assumere nelle nostre imprese elementi del clan che però non venivano mai a lavorare ma solo a ritirare lo stipendio – ha raccontato la Franzè –. Giovanni Mancuso minacciò di morte me, mio marito ed i nostri bambini se non avessimo pagato i debiti. I Mancuso mi dissero inoltre che prima mi avrebbero violentata e poi buttata in un fosso». Per cercare di placare gli animi la donna si sarebbe, dunque, rivolta al boss Antonio Mancuso, il quale avrebbe dovuto cercare di calmare il fratello, Giovanni. «Riferii a Mancuso – ha aggiunto la testimone di giustizia - che se non la smettevano li avrei denunciati, ma Antonio Mancuso mi disse di non permettermi perché in tal caso l'avrei pagata cara».
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