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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Un’attesa estenuante, che si protrae ormai da otto lunghissimi anni. Esattamente dal 25 ottobre 2012, giorno in cui Filippo Ceravolo, 19enne di Soriano Calabro, fu ucciso per errore in un agguato di ‘ndrangheta sulla strada che porta a Pizzoni, nel Vibonese. L’obiettivo dei killer non era Filippo, ma il ragazzo che era in macchina insieme a lui. Da allora Martino Ceravolo, la moglie Anna e le figlie Maria Teresa e Giusy, sono finiti loro malgrado negli ingranaggi della giustizia. Hanno chiesto in più occasioni che venisse fatta luce sull’omicidio di Filippo ma, ad oggi, l’unica certezza è che gli assassini sono liberi di girovagare, mentre loro ancora attendono di conoscere la verità per la morte ingiusta di un ragazzo di appena 19 anni. Quella di domani, 4 maggio, è una giornata particolare, in quanto Filippo avrebbe compiuto 27 anni, ma i momenti felici lasceranno ancora una volta spazio alle lacrime, ai pensieri e alla rabbia. «Non auguro a nessuno - ha detto Martino Ceravolo - ciò che è capitato a noi. Da quel maledetto 25 ottobre di otto anni fa ci hanno privato di un figlio che, in questo momento, si trova chiuso in una lapide nel cimitero di Soriano. No, questo non lo posso accettare. Non servono più le parole, vogliamo i fatti. Pretendo che sia dato un nome agli assassini di mio figlio. E su questo una cosa è certa: non perderò mai la speranza e combatterò con tutte le mie forze affinché chi ha sbagliato paghi. La mancanza di Filippo - ha detto ancora il padre - si sente in ogni occasione e anche i problemi psicologici sono all’ordine del giorno. Non lo manifestiamo all’esterno, ma è così. Non stiamo chiedendo la luna, e non siamo più disposti a sentirci dire “vedremo”, “faremo”. È il momento dei risultati, sia per noi che per le tante vittime innocenti della criminalità organizzata che chiedono giustizia».
In occasione dei 27 anni di Filippo, anche l’avvocato Giovanna Fronte, legale della famiglia, ha espresso il suo pensiero. «È un dovere ricordare Filippo, è il minimo che gli appartenenti a questa comunità possano fare. Spesso, ricordando l’omicidio, si ricorre al termine “lupara bianca”, ma nessun termine penso sia più sbagliato di questo per descrivere il fatto. Il termine “lupara bianca” - non giuridico, ma di creazione giornalistica - sta a indicare un fatto omicidiario che si realizza con l'occultamento del corpo della vittima. L’omicidio viene portato a termine per “punire” la vittima per qualche sgarro commesso e per dare un segnale alla famiglia o al territorio sulla potenza del gruppo criminale. Nel caso di Filippo tali elementi non ricorrono. Filippo è stato ucciso a seguito di un agguato lungo la strada che da Pizzoni avrebbe dovuto riportare il ragazzo a casa propria a Soriano. Stiamo parlando di un ragazzo completamente estraneo ai gruppi criminali orbitanti nel territorio e, giustamente, è stato definito “vittima innocente della ‘ndrangheta”». Il caso, inoltre, è stato archiviato, ma il legale della famiglia Ceravolo precisa che «dalle intercettazioni telefoniche, già in atto nel momento dell’omicidio nei confronti del soggetto obiettivo dei killer, emerge con chiarezza che Filippo non era noto a nessuno dei parenti e amici di quest’ultimo. Perciò il silenzio della popolazione intera sull’omicidio diventa ancora più “assordante”. Ecco perché non possiamo e non dobbiamo stare fermi e zitti. Filippo, in realtà, è il figlio di ognuno di noi: figlio del professore, del medico, dell’impiegato, del sindaco, dell’ingegnere, del disoccupato. L’intera Calabria, per non dire l’intera Nazione, avrebbe dovuto avere un sussulto, avrebbe dovuto non dormire sonni tranquilli la notte. Invece tutto tace e quando Martino alza la voce, il coro che si solleva è di protesta, piuttosto che di solidarietà. Così, ad esempio, ci si lamenta perché si criminalizza il territorio. Non si possono fare nomi perché si infangano famiglie perbene (salvo che poi queste famiglie sono implicate in omicidi e in arresti). Il territorio della provincia di Vibo, con tutta la zona delle Serre e delle Preserre oltre che della marina, deve decidere una volta per tutte da che parte vuole stare e se decide di riscattarsi davvero dal giogo criminale che si porta addosso deve fare la sua parte, deve unirsi al grido di giustizia di Martino, deve sostenere il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine e deve smetterla di abbassare la testa di fronte al prepotente di turno».
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