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Gli agenti della Squadra Mobile di Vibo Valentia e del Commissariato di Serra San Bruno, con il supporto del Servizio centrale operativo di Roma e del Reparto prevenzione crimine di Vibo Valentia, hanno eseguito nella notte un decreto di fermo, emesso dalla Dda di Catanzaro, nei confronti di 7 indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi - provento di furto o comunque alterate per aumentarne la potenzialità offensiva - oltre che di ricettazione, reati tutti aggravati dal metodo mafioso.
Si tratta di Rosa Inzillo, Viola Inzillo, Domenico Inzillo, Vincenzo Cocciolo, Antonio Farina, Michele Nardo e Giuseppe Muller.
Le indagini, dirette dai sostituti procuratori della Dda Annamaria Frustaci e Filomena Aliberti e coordinate dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e dal procuratore capo Nicola Gratteri, sono scaturite dal tentato omicidio dei fratelli Giovanni Alessandro e Manuel Nesci – quest’ultimo minore affetto da sindrome di Down - e hanno fatto luce su uno «spaccato delle attuali dinamiche criminali dell’entroterra vibonese, piagato oramai da decenni dalla contrapposizione che vede impegnate nella contesa per il controllo del territorio le famiglie Loielo ed Emanuele-Maiolo».
Secondo la Questura, «le indagini hanno disvelato i complessi equilibri che portarono alla consumazione dell’agguato mafioso nel quale il 28 luglio 2017 rimasero gravemente feriti i due fratelli Nesci, dipingendo un quadro a tinte fosche fatto di trame ordite - senza soluzione di continuità - dagli Inzillo, contigui agli Emanuele, per arrivare all’eliminazione della controparte, espressione invece della famiglia Loielo».
È in tale quadro, «che ha visto il comprensorio di Sorianello e Gerocarne violentato dalle logiche di sistema proprie della faida, si inseriscono il rinvenimento di diverso munizionamento (pronto all’uso) occultato tra le vecchie abitazioni di Sorianello, così come il sequestro di armi, cartucciere, passamontagna ed un veicolo, custoditi dagli indagati all’interno di alcuni stabili disabitati di Gerocarne in funzione di un prossimo omicidio, da consumarsi nei confronti dei Nesci».
«Sullo sfondo del progetto criminale che ha accomunato i propositi degli indagati - si legge ancora in una nota della Questura - ha trovato, poi, sfogo l’operato delle donne della famiglia Inzillo: operato che si è contraddistinto per l’inusitata violenza delle affermazioni, per la determinazione evidenziata nei propositi omicidiari, per il costante incentivo all’azione assicurato in favore dei “maschi buoni” della famiglia (ossia gli uomini capaci di commettere le azioni delittuose) nonché per l’apporto che in prima persona le stesse hanno garantito nella custodia delle armi, non esitando a coinvolgere anche l’anziana madre(indotta dalle figlie ad occultare una pistola nella propria biancheria intima, al fine di fugare eventuali controlli ad opera delle forze dell’ordine)».
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