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Un colpo alla testa, sparato con un fucile da caccia da lunga distanza. Così la sera del 2 giugno 2018, mentre l’Italia festeggiava la Repubblica, è morto Soumaila Sacko, bracciante non ancora 30enne, sindacalista e padre di una bambina di 5 anni. È stato ucciso nell’area dell’ex “Fornace Tranquilla” di San Calogero, una fabbrica abbandonata in cui sono interrate 130mila tonnellate di fanghi e ceneri industriali. Era assieme a due connazionali, non rubavano nulla ma stavano solo cercando delle lamiere per gli alloggi di fortuna della baraccopoli di San Ferdinando. Sacko aveva i documenti in regola e anche un “posto” dove dormire, ma era uno «che voleva sempre aiutare gli altri», hanno raccontato gli altri due.
A sparare, secondo la Corte d’Assise di Catanzaro, sarebbe stato un 44enne del posto, Antonio Pontoriero, condannato l'11 novembre scorso a 22 anni di carcere per omicidio volontario. Come un cecchino, si legge nelle motivazioni della sentenza depositate ieri, avrebbe messo in atto una «caccia continuata con imperturbata determinazione, sino a riservare a ciascuna delle vittime la sua “punizione”». Nessuna remora a imbracciare il fucile e «attentare alla vita altrui per difendere il possesso di un bene abusivamente acquisito alla sua disponibilità, malgrado potesse raggiungere lo stesso effetto solo intimidendo».
Un «bene» che in realtà è una delle discariche di rifiuti tossici più pericolose d’Europa e che, nonostante ciò, l’uomo considerava cosa sua, una proprietà da difendere fino al punto di uccidere. «La volontà omicida è indiscutibile», ha scritto la Corte che, per questo, non gli ha concesso alcuna attenuante generica.
Sull'area della “fornace” Pontoriero «esercitava all’evidenza una abusiva signoria». E la sua furia punitiva contro le vittime non si è fermata neanche quando Sacko era già caduto a terra colpito a morte. Ha continuato la sua «caccia» per difendere un cumulo di veleni da tre ragazzi in cerca di qualcosa per ripararsi dal freddo.
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