Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Nella notte tra il 22 e il 23 maggio del suo novantottesimo anno, circondato dall’amore dei familiari e dalle mura della casa di cui era stato artefice a Novalba di Cardinale, ha abbandonato il mondo terreno Bruno Citino, rinomato depositario di conoscenze e abilità riconducibili al cuore pulsante della cultura orale delle Serre calabresi, rappresentato dalla musica tradizionale con le sue innumerevoli funzioni comunicative, rituali, magico-religiose, lavorative, festive.
Meritava in pieno la fama di grande suonatore che lo ha accompagnato per tutta la vita (ben prima dell’esplosione della moda dell’«etnico» e delle tarantelle power): il talento versatile con cui maneggiava gli strumenti musicali dei contadini e dei pastori del territorio era stupefacente e molto contribuiva al fascino emanato dalla sua figura. Bruno ha offerto alla ricerca etnomusicologica una collaborazione consapevole e generosa, destreggiandosi tra microfoni, registratori e conversazioni sul passato con una disponibilità e una pazienza che peraltro si riverberavano in alcuni suoi tratti fisici inconfondibili: il sorriso leggero, lo sguardo acuto e bonario, la misura e l’eleganza dei gesti e delle espressioni.
L’intero pianeta è diventato una valle di lacrime, resa angusta e affannosa dalla crescita economica, dallo sviluppo sostenibile e da quello insostenibile, dalla competizione globale e dalle conseguenti guerre, dal saccheggio feroce di beni comuni e fondi pubblici ad opera di intraprendenti privati. Ma Bruno Citino, imperterrito quanto ammirevole, insieme alla sua famiglia meravigliosa ha continuato a puntare la propria bussola esistenziale su valori collettivi; la sua casa è rimasta negli anni epicentro di una socialità fondata al contempo sulla marcata appartenenza al territorio e sul gusto dell’apertura nei confronti del nuovo e del diverso: in antitesi al nichilismo e allo spaesamento contemporaneo delle folle sradicate di consumatori ha tessuto controcorrente, senza cedimenti e fino alla fine, una trama fittissima di rapporti solidali collegati a memorie e vicende condivise, grazie alle quali diventava possibile e fecondo il confronto con realtà umane esterne (e bisogna ricordare che un elemento di punta del “localismo cosmopolita” di questa esemplare famiglia calabrese è stato Cosimino, il figlio di Bruno e Vittoria scomparso anzitempo qualche anno fa).
Nei meandri del suo percorso biografico Bruno ha fatto brillare il legame emotivo con il passato, assommando nella sua persona tutta la gamma dei saperi e delle pratiche rurali e artigianali accolte ed elaborate nell’area serrese dalle generazioni precedenti; dell’autocostruzione dell’abitazione per sé e per i figli si è fatto cenno, ma un elenco completo delle attività, condotte tutte con esiti eccellenti, dello straordinario “uomo totale” che è stato renderebbe lunghissimo questo ricordo.
Bruno, allevatore, contadino, cacciatore, costruttore di oggetti in legno e strumenti musicali, si è mosso in un ambiente di insediamento concepito come habitat da cui ricavare la sopravvivenza rigenerando le risorse rinnovabili (era ormai uno dei pochi umani della faccia occidentale della Terra capaci di procurarsi i beni vitali anche senza ricorrere al denaro) e conosceva ogni pietra, ogni albero e ogni sorgente dei boschi vetusti frequentati per un secolo. Per questo motivo non manca la sua firma in calce a un documento politico della società civile scritto in difesa di quei boschi, del suolo e del paesaggio annichiliti dagli impianti per la produzione dell’energia cosiddetta pulita che in realtà per i guadagni di pochissimi sta aggravando la crisi ecologica. Ecco di nuovo dunque la dialettica tra il vecchio e il nuovo sospinta da un’etica che non ha mai subito uno smarrimento del senso e della direzione.
Bruno era una forza del nostro migliore passato protesa verso un futuro ancora possibile. Sembra ora che con lui se ne sia andata un’era geologica, e che la desolazione in cui ci dibattiamo si sia fatta più acuta e più chiara.
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