Martedì, 25 Aprile 2023 07:15

I partigiani delle Serre in Piemonte

Scritto da Francesco Barreca
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Nella 3° Brigata SAP divisione Augusta di Torino, alla quale è affiliato Giulivo Valente, militano diversi calabresi: ci sono i reggini Vincenzo Borrelli (Cecio), Antonio Calabrò ed Ettore Panascia (Romolo), ai quali si aggiungono Francesco Montalbano di Bagnara e soprattutto Vincenzo Spanò, Annunziato Infortuna e i fratelli Domenico e Felice Verducci (Vito) di Motta San Giovanni. Felice Verducci e Vincenzo Spanò sono entrambi emigrati da Motta San Giovanni e risiedono a Gassino Torinese, dove lavorano rispettivamente come commerciante e minatore. Verducci era entrato nel 1944 nelle brigate Garibaldi insieme all’altro fratello, Fortunato (Rubino). All’inizio del 1945 Felice passa alla divisione Augusta e verosimilmente coinvolge Spanò nelle attività partigiane. Alla fine della guerra Verducci sarà riconosciuto Combattente, mentre Spanò otterrà la qualifica di Benemerito. Ciò induce a credere che quest’ultimo sia stato più che altro un contatto del primo: è facile immaginare, infatti, che il Combattente Verducci, in caso di necessità, si rivolgesse a una persona fidata come Spanò, un suo compaesano che, peraltro, era stato infermiere nell’esercito.

Tra il 1944 e il 1945 in Piemonte troviamo, oltre a Giulivo Valente, altri quattro partigiani serresi. I due attivi in area torinese sono soldati sbandati: Stefano Mannella (Piero), di professione boscaiolo, figlio di Salvatore e Rosaria Andreacchi, è un soldato di Fanteria, così come Bruno Tassone (Francesco), contadino, figlio di Nazzareno e Maria Concetta Tassone. Mannella aderisce nel 1944 alla brigata Superga, in cui militano altri due soldati sbandati calabresi: Nicola Elia (Nicola) di Zagarise e, a partire da gennaio 1945, Francesco Criniti (Feroce) di Badolato. Al momento dell’armistizio, Tassone è invece un soldato del 43° reggimento di fanteria di stanza ad Alba. In merito a quanto succede nelle fasi immediatamente successive all’armistizio abbiamo la preziosa testimonianza del partigiano albese Angelo Racca, anche lui milite del 43°, che vale la pena riportare estesamente in quanto narra vicende in cui Tassone fu direttamente coinvolto: 

Nel settembre 1943 ero in servizio al 43° reggimento fanteria, divisione Forlì. Ma ero distaccato presso la caserma dei Carabinieri di Cravanzana, per i controlli sui renitenti alla chiamata alle armi della leva 1924. A Cravanzana c’erano un maresciallo, un appuntato, due carabinieri semplici e io. Altri militari erano stati inviati dal comandante del reggimento presso le Stazioni di Bossolasco, Diano e altri paesi, con i medesimi compiti. Verso le 15 del 9 settembre, una camionetta dei Carabinieri arriva da Alba con ordini del colonnello comandante: io devo subito rientrare in caserma. Arriviamo in caserma nel tardo pomeriggio. Un maggiore dice a tutti i militi di posare fucili, baionette e munizioni nel cortile; un po’ sorpresi obbediamo. Vedo dei cannoncini in cortile; intanto viene notte. Qualcuno dice: “Attenti tra un po’ arrivano i tedeschi.” Qualcuno riesce ad avvisare il capostazione lì vicino, che fa sistemare un carro merci sui binari che corrono vicinissimi alla caserma. Sarà utilissimo per fuggire dalle finestre dei piani superiori senza farsi male. Non so cosa fare. Mi viene in mente che in magazzino ci sono vesti civili. Mi precipito, trovo abiti dei nuovi arrivati della leva 1924. Mi cambio subito. Trovo una valigia, recupero un po’ di alimenti, foraggi, scatolame e poco zucchero. Nel frattempo arrivano i tedeschi, è quasi notte. Sono almeno sessanta, venivano da Bra. Si accordano subito con il colonnello comandante. Cenano in mensa ufficiali tedeschi e italiani. Mangiano, bevono, ridono, pare ci sia cameratismo. Ma gli ingressi sono presidiati da tedeschi armati. Qualche fante è riuscito a scappare saltando dalle finestre sul carro merci. Allora mi decido: esco dalla porta principale con la valigia e in borghese. La scena è surreale: il soldato tedesco sull’attenti fa il saluto militare. Sono le tre del mattino, è buio. Attraverso il ponte sulla ferrovia, vedo il carro merci sui binari. Veloce arrivo in piazza Rossetti ove abita una sorella, mi fermo poche ore. Saluto, lascio la valigia e via al bar Calissano ove incontro un amico che mi dice che in Alba sono arrivati i tedeschi. “Li ho visti,” confermo. Arrivano altri clienti del bar, tutti vogliono sapere. Meglio scappare, vado a Manera. Un disastro. Ci sono molti Alpini sbandati della 4ª armata. Qualcuno in divisa, altri in borghese, poche armi. Con alcuni militari del 43° fanteria andiamo verso la montagna. Arriviamo il giorno dopo a Corsaglia, in val Maudagna non lontano da Mondovì. Siamo in 56. Un embrione di banda partigiana. Alloggiamo in un alberghetto. Dotazioni: un moschetto, uno Sten, poche munizioni. Tanta paura. Poche settimane dopo, il primo rastrellamento tedesco ci disperde. Scappo nei boschi, mi salvo in un forno di castagne. Decido di tornare in Alba. A Bossolasco trovo una corriera, non mi vuole caricare. Poi salgo, ma debbo scendere alla scuola Enologica. È fine ottobre 1943. Pochi giorni dopo ci incontriamo, in Alba, alla cascina dell’Acqua marcia, vicina al torrente Cherasca. Siamo 78 militari. Decidiamo di dare vita a una nuova formazione. Sarà uno degli embrioni della 21ª brigata partigiana Matteotti.

Il racconto di Racca è la testimonianza di un soldato del posto, che sa come muoversi e ha già solidi contatti. Possiamo solo immaginare come il soldato semplice Tassone, contadino ventenne di Serra San Bruno, possa aver affrontato una situazione così drammatica e confusa e sia arrivato a prendere la decisione di arruolarsi nelle brigate Garibaldi. Non è difficile intuire come, per un soldato, darsi alla macchia non fosse quasi mai una “scelta” ponderata come poteva esserlo per un ufficiale. Per i soldati si trattava in primo luogo di individuare possibili contatti ai quali affidarsi per avere qualche speranza di cavarsela. Tassone non aveva una sorella dalla quale trascorrere qualche ora per fare il punto della situazione, né amici al bar coi quali discutere di quanto stava avvenendo. Forse non sapeva neppure quali fossero i paesi più sicuri dove dirigersi. In altre parole, Tassone difficilmente poteva muoversi da solo come aveva fatto Racca. Ufficiali, commilitoni locali, parenti e compaesani emigrati: le sue “scelte” erano in qualche modo vincolate alla immediata disponibilità di questi contatti. Ciò significa che per gli strati profondi della militanza meridionale nel movimento partigiano l’antifascismo rappresenta molto spesso l’esito della militanza e non la sua causa. Per molti soldati sbandati, sono il senso di sconfitta, la disillusione nei confronti dei vertici delle forze armate che “mangiano, bevono, ridono” insieme ai tedeschi, la sensazione di essere stati traditi da quel regime che fino ad allora aveva rappresentato un vero e proprio orizzonte di vita e ora si mostrava nudo, imbelle e disinteressato alla loro sorte a innescare un percorso di presa di coscienza politica che solo in seguito al progressivo coinvolgimento nella causa dei partigiani conduce a un consapevole antifascismo di natura ideologica, quest’ultimo peraltro testimoniato, nel caso di Tassone, dall’adesione nel 1944 a una formazione politica come la Garibaldi. Come ricorda Giulio Nicoletta, che pure fu un ufficiale che “scelse” da quale parte schierarsi, la sua formazione politica avvenne durante la Resistenza, tra un combattimento e l’altro. E se, da un lato, questo dovrebbe evitarci la tentazione di ridurre il coinvolgimento dei meridionali nella lotta partigiana a semplice opportunismo, dall’altro dovrebbe anche indurci a problematizzare la decisione di molti di schierarsi “dalla parte sbagliata”, magari riconoscendo che “la parte sbagliata” era in un certo momento, in un certo luogo, in certe circostanze, la migliore e la più logica delle “scelte” che un ventenne meridionale potesse fare.

I percorsi di Bruno Amato (Luciano) e Cosimo Zaffino sono invece più simili a quelli di Valente. Bruno Amato, figlio di Salvatore e Michelina Manno, è un funzionario di polizia ad Asti e nel settembre del 1944 si aggrega alla 2° Divisione Langhe. Alla fine della guerra otterrà la qualifica di Patriota, dunque con tutta probabilità la sua attività fu soprattutto quella di informatore e collaboratore. Cosimo Zaffino, figlio di Raffaele e Rosanna Barillari, opera a Casale Monferrato e collabora con la 41° Brigata Casale. Anche lui, come Bruno Amato e Giulivo Valente, fa parte delle forze dell’ordine (è un maresciallo dei Carabinieri) e verosimilmente svolge soprattutto attività di informatore e supporto (otterrà in seguito la qualifica di Benemerito, dunque non prese parte alla lotta armata). Diversi calabresi dell'area delle Serre furono fondamentali nel ruolo di collaboratori e informatori. Il già citato Francesco Vallelonga (Fanfulla), di Nardodipace, da cuoco nell’esercito della RSI ad Acqui Terme passa informazioni ed equipaggiamenti ai partigiani. Nicola Iozzo, di Torre di Ruggero, è un soldato sbandato, ex caporal maggiore nell’esercito, che dopo l’armistizio entra nelle forze di polizia della RSI a Torino e comincia a fare da informatore per la 3° Brigata SAP. È quasi coetaneo del compagno di brigata Giulivo Valente, che è in forze alla polizia del Regno, e non è assurdo ipotizzare che i due si considerassero, oltre che colleghi, anche “compaesani”.

Se consideriamo i Comuni del circondario serrese troviamo altri partigiani. Oltre a Nicola Iozzo, infatti, in Piemonte si uniscono alle bande armate i simbariani Bruno Scopacasa (Scopacasa) nella Brigata Val Pellice e in seguito nella Dino Buffa, attive nel pinerolese, e Francesco Gagliardi (Ciecio) nella 99° Garibaldi, inclusa nella divisione Langhe con la quale collaborava Bruno Amato. Entrambi sbandati, ai due simbariani sarà riconosciuta la qualifica di Partigiano Combattente. Giuseppe Cutullé e Bruno Franzé sono di Fabrizia e collaborano con le brigate alpine che operano nelle Valli di Lanzo e nella Val Soana. Di Nardodipace sono originari Ilario Aloi (Buffatello) e Flavio Cavallaro, mentre Nicola Antonio Marchese è un macellaio di San Nicola da Crissa, soldato sbandato, che si arruola nella 22° Divisione Collinare. Alla fine della guerra di Liberazione riuscirà a tornare a San Nicola e nel 1953 emigrerà in Canada con la famiglia. A Torino, Marchese abita in piazza Statuto, in pieno centro storico, dove risiede un gruppo di meridionali, tra cui il catanzarese Gaetano Brescia (Tano), arruolati nella sua stessa divisione.

Sbandati, emigrati, parenti, paesani, conoscenti, amici, superiori: la partecipazione dei meridionali alla Resistenza è stata un fenomeno fatto di storie intrecciate il cui senso emerge solo a uno sguardo d’insieme. Una storia collettiva costituita dalle storie individuali dei Valente, degli Amato, degli Zaffino, dei Tassone, dei Mannella, degli Scrivo, dei Barillari, storie che concorrono e si rincorrono, si incrociano e si separano come le correnti in un grande fiume, un fiume che conduce sino a noi, a quel che oggi siamo e non siamo. (3/fine)

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