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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Le guerre, si sa, fanno sempre tante vittime. Oltre alla scia di sangue che si portano dietro, hanno anche conseguenze indirette che provocano effetti a migliaia di km dal fronte, per esempio con l’aumento dei costi delle materie prime. Succede oggi, con la guerra in Ucraina, e succedeva oltre un secolo fa, con la Grande Guerra. In pochi però immaginerebbero che il problema del prezzo dei materiali abbia avuto ripercussioni anche in un paese dell’entroterra montano come Serra San Bruno e, in particolare, su un’opera pubblica diventata quasi un simbolo distintivo per la cittadina della Certosa: il corso principale fatto di basole in granito. Ce n’è una prova tra le carte custodite nell’archivio comunale recuperato e reso fruibile nei locali del museo-biblioteca “Enzo Vellone”. Si tratta di due lettere, datate 23 novembre 1917 (foto in basso) e 5 gennaio 1918, inviate al Comune da Giuseppe Saulle, ovvero l’appaltatore «del prolungamento del corso Umberto I in lastre di granito».
Tutto inizia nel 1845
L’inizio della costruzione del corso risale in realtà a qualche decennio prima: nella Platea della chiesa Matrice si legge che i lavori per «la Strada fatta di Pezzi di Piperno, messi a quadrato, la quale si estende dalla Chiesa Madre fino al fiume, e dal fiume fino al Calvario d’inselciata», e che era «lo incanto dei forestieri», erano iniziati nel 1845 e nel 1852 non era «ancora arrivata al fiume». Un’altra traccia c’è in una delibera comunale del 18 febbraio 1864 (foto in alto) in cui si fa il punto sui lavori dividendo il tracciato in sei tratti: il primo va dal «punto esterno dell’abitato detto La Locanda al palazzo dei Signori Tedeschi»; il secondo «dalla Chiesa Matrice fino alle Prigioni»; il terzo «dalle Prigioni fino al ponte sul fiume Ancinale»; il quarto dal ponte alla chiesa di Spinetto; il quinto da quest’ultima chiesa fino «all’angolo esterno del Palazzo di D. Francesco Giancotti». L’atto stima in 14.790 lire l’ammontare di lavori per «riattare il basolato esistente» e per costruirlo nella parte all’epoca mancante «dalle Prigioni al ponte», nonché per la sistemazione e la realizzazione del selciato con il «brecciame» nella restante parte.
Le due lettere
Chiusa la parentesi ottocentesca, torniamo ai lavori da effettuare negli anni del primo conflitto mondiale. Con la prima delle due lettere l’appaltatore Saulle fa sapere al Comune che «atteso l’attuale guerra non è il caso di proseguire l’andamento del lavoro appaltato per mancanza di operai». Per sopperire, chiede che le autorità gli mandino «16 prigionieri di guerra e cioè: 10 scalpellini, 4 manovali e 2 muratori». Con la seconda lettera, poi, fa sapere di aver già consegnato il primo tratto del lavoro, «dal punto “Giarrara” all’esterno dello abitato “San Rocco” con grandissimo suo sacrificio e discapito, stante la grave difficoltà causata dalla guerra, tanto per l’enorme aumento dei materiali che per quello dei trasporti e della manodopera». E descrive una situazione che agli occhi di oggi risulta attualissima: «All’epoca dell’appalto un manovale costava appena £ 2,00 e ora appena si trova ad averla per £ 5,00, quella dello scalpellino da £ 4,00 è salita a £ 8,00, similmente quella del muratore». Stesso discorso per il costo dei materiali: «L’acciaio che veniva pagato £ 0,80 per chilogrammo costa ora £ 6,00 (…), la polvere da sparo da £ 1,60 costa a £ 12,80 al chilogrammo, la calce che si pagava a £ 5,00 a quintale si paga finoggi a £ 15,00». Infine i trasporti che «a stento si trovano pagando più del doppio poiché tutti buoi furono requisiti dal governo e dallo stabilimento ausiliario locale».
Un «supplicante operaio» che rischia la «rovina»
Saulle spiega che rimane ancora da costruire il tratto del corso «compreso tra il ponte Spinetto e la casa Vavalà, ch’è oltre i due terzi» di quello all’epoca già eseguito. Specifica che buona parte delle lastre in granito «sono già a piè d’opera e si sta lavorando in cava per l’estrazione e lavorazione di quelle mancanti». Ma aggiunge che con la situazione che si è creata «sarebbe una rovina» per lui continuare il lavoro ai costi stabiliti dall’appalto. Insomma, Saulle sa bene che «i contratti sono contratti, ma l’aggravarsi della nostra guerra con tutte le sue funeste conseguenze» ha generato aumenti per materiale e manodopera tali «da superare qualsiasi previsione da mettere nell’impossibilità di continuare i lavori non solo al supplicante ch’è un povero ed onesto operaio, ma anche ad un appaltatore che abbia capitali».
La relazione di Giuseppe Maria Pisani
Agli atti dell’archivio c’è anche una successiva relazione (foto in basso), datata 30 maggio 1918, con cui Giuseppe Maria Pisani senior, che tra le altre cose era geometra, ricostruisce la storia dell’appalto e fornisce, come richiestogli, una consulenza tecnica al Comune. Affidati a Saulle nell’agosto del 1916, i lavori avrebbero dovuto completarsi in 8 mesi ma l’appaltatore era stato effettivamente «costretto a sospendere» per l’aumento dei costi. I lavori eseguiti fino a quel momento «si riducono: all’impianto, a nuovo, del basolato, dalla traversa Locanda alla ufficina Salerno, e al restauro del tratto di basolato vecchio, che è davanti all’Ufficio telegrafico». La relazione è molto circostanziata e piuttosto “salomonica” nelle conclusioni. Pisani conclude che i lavori già eseguiti fossero «ricevibili», che i prezzi di manodopera e materiali sono effettivamente aumentati e in alcuni casi «decuplicati», che l’azienda «non può assolutamente procedere ai lavori che restano da eseguire ai prezzi di appalto», e che al Comune «non conviene continuare l’opera appaltata, se deve pagarla con gli alti prezzi attuali», ma converrebbe all’ente «essere libero di poter decidere, a suo tempo, sul quando e sul come procedere alla sistemazione del corso Umberto I».
La storia sotto i piedi
Non è chiaro, almeno dal fascicolo custodito in archivio, se il Comune in quel frangente decise di accogliere in toto i suggerimenti di Pisani e dunque di aspettare tempi migliori per completare i lavori del corso. D’altronde non è semplice ricostruire con fonti documentali evidentemente parziali l’intera storia del corso serrese, che successivamente fu devastato anche dall’alluvione del 1935. Ma alcuni frammenti della storia amministrativa serrese della seconda metà dell’800 e dei primi decenni del ‘900 che stanno tornando alla luce fanno capire che l’opera su cui oggi camminiamo, quasi ignorandone le origini, sia costata molto, e non solo in denaro, a chi ci ha preceduto.
La prima delle due lettere di Giuseppe Saulle al Comune e le conclusioni della relazione di Giuseppe Maria Pisani
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