Domenica, 21 Agosto 2022 09:09

FIMMINA DI RUGA | La nostalgia/3

Scritto da Giuseppina Vellone*
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Foto tratta dal sito visitserrasanbruno.it Foto tratta dal sito visitserrasanbruno.it

Arrivava agosto, “l’agosto serrese”; il paese si animava. Ogni ruga ospitava con generosità le auto con le targhe del Nord-Italia o della Germania; poco rappresentata era la Francia. Sembrava che Terravecchia, così chiamiamo il centro di Serra San Bruno, si dilatasse: come in un grande abbraccio accoglieva gli emigrati. Erano la prima generazione, quelli che ancora seguivano i genitori.

I miei cugini di Foggia erano quattro: Annamaria, Mimmo, Tonino e Bruno; con loro però, arrivavano molti altri: lo zio Ettore e famiglia, la zia Antonietta. Non erano i nostri zii, ma li chiamavamo così, era naturale.
Lo zio Ettore e la zia Antonietta erano i fratelli della zia Lina. Lei aveva sposato lo zio Cosimo, fratello del nonno Gerardo, venivano da Foggia.

Ogni anno puntuali come lo scorrere delle stagioni, facevano il loro ingresso. Vocianti, festanti, numerosi, rumorosi, vivi. Erano come la zia: erano proprio i suoi prolungamenti. Ancora oggi sono fedelissimi di Serra: con figli, nuore, nipoti e pronipoti sono ancora lì; ognuno nella sua casetta, qualcuno nelle rughe.

Mimmo, che non c’è più, aveva con amore e rispetto ristrutturato la casa dei bisnonni. L’amore per Serra non l’hanno, però, ereditato dal padre, ma dalla zia Lina, dalla “foggiana”.

La zia la ricordo abbondante, accogliente, morbida.
Morbidi erano i suoi capelli neri acconciati con cura, gonfi come un dolce ben lievitato, neri e lucidi.
Della zia mi ricordo un seno bello, prosperoso, non mortificato ma neanche esibito.
Ricordo una strana collana, forse un ciondolo con un ritratto all’interno; forse qualche volta l’ho visto, oppure l’ho sognato.

La zia emanava sensualità, la sentivo donna, senza volgarità. Adesso che la ripenso mi vengono in mente le donne spagnole: era come una sivigliana: viva, generosa, femmina.
La zia arrivava per agosto. Avida di famiglia, di frescura, di cose buone, di racconti.
La zia si sedeva nelle rughe, donna fra le donne, calabra non solo per cognome acquisito, ma per affinità.

Il suo dialetto si univa a quello delle donne di Serra. Ricordo il suo intercalare “neh, triestiii” così diceva allo zio Cosimo; lui si schermiva, faceva il riservato; lei non ci badava. La zia parlava, raccontava, gioiva.
Non ho ricordi precisi, spaccati minuziosi della zia foggiana. Di lei mi è rimasta un’atmosfera. La zia Lina portava bene.

Forse il suo limite era la sua forza, la sua vitalità, che a volte tracimava e dilagava nelle case austere di Serra poco inclini all’allegria. La zia Lina, forse come la zia Teresina, si aspettava che chi era rimasto al paese, ogni anno, potesse far festa per il suo arrivo.
Ma la vita di ogni giorno non è la vacanza.

Le polpette della nonna Brunina richiedevano del tempo 
e, alla fine, quando il tempo lo consumi, non ne resta per te. La nonna, mia madre, la zia Annunziata non andavano a Foggia dove, sicuramente, la zia le avrebbe accolte e coccolate. Questo vettore unico, alla fine, esaurì la sua carica, i rapporti si allentarono, l’agosto serrese diventò faticoso.

A me rimase la nostalgia del vociare nelle rughe, delle serate
sui gradini a raccontare per la decima volta l’episodio del mate-rasso della zia Stella. Mi è rimasto il desiderio di vedere Tonino e Mimmo ballare la tarantella.Vorrei risentire il profumo della zia Lina, il suono della sua risata a due tempi. Mi piacerebbe poter raccontare a mia figlia tutti i dettagli dei vestiti della zia Antonietta e del suo amore, mai consumato, con mastro Peppe.

La zia Lina era una donna che è andata oltre, oltre la sua terra, oltre i suoi confini. È stata capace di amare ciò che non era simile a lei: eppure non ha mai perso la sua identità.
Lei questo mi ha donato: la possibilità di stare in un luogo e di farne parte, pur venendo da un “altrove”.

*Psicoterapeuta, fondatrice della Onlus Famiglieperlafamiglia e responsabile di Casa di Deborah, nel 2021 ha pubblicato Fimmini di ruga, il libro da cui è tratto questo brano e da cui prende il nome la rubrica che cura per il Vizzarro.
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